8 luglio 2013 – Social impact bond, il Regno Unito batte gli Stati Uniti 13 a 1. A tanto ammonta il divario (che però Washington intende ridurre) tra i due Paesi nel mercato nascente dei cosiddetti “Sib”. Il motivo non è la scarsità di interesse da parte degli americani, quanto piuttosto la differenza nelle politiche attuate finora dalle due amministrazioni.
Il governo britannico, all’interno del gabinetto del premier, ha creato un’agenzia ad hoc, il Centre for Social Impact Bonds, per promuovere lo sviluppo dei Sib, strumento di finanziamento nato nel Regno Unito. Il primo fondo a impatto sociale è nato qui nel 2010, con in co-finanziamento da parte di investitori privati dell’intervento di riabilitazione di circa 3.000 detenuti del carcere di Peterborough: se il tasso di recidiva non si ridurrà almeno al 7,5% gli investitori non riceveranno alcun compenso.
Il concetto del social impact bond è proprio questo: gli investitori non offrono una remunerazione certa. L’investitore non ha una remunerazione certa, ma è ripagato soltanto in base al raggiungimento di i risultati. Per il finanziatore privato, in pratica, si tratta di una scommessa. Dal 2010, nel Regno Unito sono nati altri dodici Sib. Negli Stati Uniti, si diceva, esiste attualmente un solo bond a impatto sociale, quello lanciato dalla città di New York nell’estate del 2012 che ha come investitore/scommettitore privato la Goldman Sachs e che finanzia un programma per ridurre le recidive dei giovani detenuti del carcere di Rikers Island.
Dal prossimo anno, però, gli Usa potrebbero recuperare il gap. Nella bozza di bilancio federale per il 2014, la Casa Bianca prevede di stanziare 500 milioni di dollari per finanziare i Sib e strumenti simili, cinque volte quanto stanziato quest’anno.
Evidentemente, anche l’amministrazione Usa comincia a capire che i social impact bond saranno sempre più importanti per il futuro, data la crescente domanda di servizi sociali e la restrizione del budget pubblici per finanziarli. Secondo un’indagine condotta da Nonprofit Finance Fund, un’organizzazione che aiuta il non profit a trovare finanziamenti, nel 2012 il 78% degli enti non profit ha registrato un aumento della domanda dei suoi servizi e l’85% si aspetta un’ulteriore impennata quest’anno. Questo, a fronte del fatto che un terzo degli enti non profit abbia ricevuto meno risorse pubbliche. Per la prima volta in cinque anni, la metà degli enti dice di non essere in grado di soddisfare la richiesta di servizi.
Non c’è da sorprendersi, dunque, se gli enti pubblici siano interessati a questo strumento. Importare il modello dal Regno Unito non è semplice, perché gli Usa hanno un sistema federale molto più decentrato. Per questo, il Nonprofit Finance Fund ha ricevuto 400.000 dollari dalla Rockefeller Foundation per capire come adattare i Sib agli Stati Uniti.
Altro problema è che i finanziatori privati più forti, cioè le banche, stanno mostrando interesse ma in un periodo di crisi hanno paura ad assumersi il rischio di un investimento a rischio.
La “via” americana dei social impact bond è ancora da tracciare.
Fausta Chiesa
A cura di ETicaNews