WIKIBILANCIOSOCIALE, IL ROADSHOW CHIUDE IN TRIENNALE

UnipolCsr, start up in salsa italiana

1 ottobre 2013 – Là fuori c’è chi combatte e rompe gli schemi. Anche nell’impresa e nel sociale. Una realtà di giovani dinamici e di opportunità da cogliere, lontana dalle logiche della vecchia economia (ancora ripiegata a curarsi le ferite dell’ultimo colpo subìto, la sostanziale vendita di Telecom Italia agli spagnoli di Telefonica) è emersa dalle testimonianze di esperti di start up e incubatori che si sono riuniti mercoledì scorso alla Triennale di Milano nell’incontro “Come promuovere l’occupazione, i giovani e l’innovazione: le esperienze in corso”. Con questo appuntamento si è concluso il roadshow del wikibilanciosociale di #UnipolCsr, una serie di presentazioni itineranti avviata in luglio dal gruppo finanziario bolognese per condividere alcune tematiche chiave del bilancio di sostenibilità. ETicaNews ha seguito in twittercronanca (hashtag #UnipolCsr) anche questa tappa (vedi la sintesi dei tweet).

A Milano, dopo le tappe di Mirandola, Bari e dell’Asinara, il dibattito si è concentrato sull’esperienze in corso per promuovere l’occupazione, i giovani e l’innovazione. «L’Italia è piena di comunità di cambiamento che applicano il metodo start up a iniziative di cittadinanza attiva», ha affermato Francesco Luccisano, classe 1982 e presidente di Rena, associazione indipendente di giovani interessati al miglioramento continuo dell’ambiente in cui vivono, che puntano a inquadrare il proprio percorso personale e professionale in un progetto più ampio di società. Per Luccisano oggi non serve tanto l’offerta del cambiamento, ma la domanda al cambiamento. «Se si chiede nelle scuole ai ragazzi chi vuole diventare imprenditore – spiega – non più di uno alza la mano. Perché? Nelle scuole manca la domanda all’imprenditorialità perché l’idea del fallimento è connotata come negativa». Per questo Rena è impegnata in un progetto per portare nelle scuole le esperienze e le scelte di impresa.

L’IMPORTANZA DEI MODELLI POSITIVI
«I role model, i modelli di imprenditori che i giovani hanno, sono fondamentali e stiamo cercando di crearne di positivi», afferma anche Riccardo Donadon, amministratore delegato di H-Farm, venture incubator che opera a livello internazionale in ambito web, digital e new media, favorendo lo sviluppo di start up basate su innovativi modelli di business. Per Donadon i giovani hanno (quasi) la consapevolezza che sta cambiando qualcosa di grosso, che in atto ci sono trasformazioni pazzesche. «Scenari pazzeschi si stanno aprendo – afferma – e c’è la necessità di rivoluzionare un sistema che si è incrinato». Certo, ammette, è difficile ma tra i giovani c’è molto entusiasmo, è aumentata la consapevolezza della necessità di essere imprenditori. E le opportunità, è il messaggio un po’ di tutti, sono là fuori da cogliere. «Siamo Paese in difficoltà, ma ci sono possibilità incredibili, è necessario creare grandi hub», dice Luigi Capello, ceo di LVenture Group, holding nel settore del venture capital.

L’ITALIAN WAY ALLA START UP
Una grande opportunità peri giovani è il digitale, rileva Capello, oggi si possono creare start up con risorse molto inferiori a quelle di un tempo, circa 5.000-10.000 euro. Certo, in Italia, l’opportunità è la parte tecnologica, difficile vendere i prodotti nel mercato domestico: «Noi – dice – coltiviamo le start up e poi le mandiamo nel mondo». Insomma, esiste una via italiana alla start up che la differenzia dai modelli importati dall’estero. Nell’esperienza di Cabirio Cautela, ricercatore al Politecnico di Milano del Dipartimento Indaco (di Industrial design, delle arti, della comunicazione e della moda), l’italian way alla start up passa da quattro punti. «Siamo convinti che l’approccio tecnologico/innovativo del modello Usa non ci appartenga perché pensiamo non ci sia un bacino adatto – dice Cautela –. L’italian way alla start up è riconfigurare le risorse esistenti in un modo innovativo, non c’è da creare nuova tecnologia». In secondo luogo, è necessario passare dalla creazione di un prodotto a quella di un meta-prodotto, ossia che possa andare bene sia a New York sia a Milano. Terzo, è indispensabile focalizzarsi sul progetto. «Su quella innovazione – riprende – devo pedalare ogni giorno. No alla moltiplicazione delle idee, la bolla delle nuove idee prima o poi esploderà, ma è necessaria una focalizzazione progettuale che abbia a che fare con il contorno che ci circonda». Infine, mette in guardia, non è detto che la buona idea attragga finanziamenti: «È necessario educare al concetto di risorse mobilitabili, perché il primo patrimonio di chi vuole fare l’imprenditore sono i contatti».

UNA FASE STORICA DI DISTRUZIONE CREATIVA
Da qualunque punto di vista si guardi il mondo delle start up, quello che emerge in modo netto è che siamo in un momento di discontinuità. «Siamo in una fase storica di distruzione creativa, le condizioni ci sono, vanno sfruttate, stiamo andando verso un ecosistema start up friendly per i giovani e no», afferma Matteo Bartolomeo, amministratore delegato di Make a Cube, incubatore in Italia specializzato in imprese ad alto valore sociale e ambientale. «Dobbiamo insegnare ai ragazzi – aggiunge – a gestire trade off che riguardano problemi etici, sociali e ambientali». D’altra parte, il mondo del sociale ha grandi potenzialità, anche quando si parla di nicchie. Lo dimostra il caso emblematico, citato da Bartolomeo, di una start up che, lavorando su apparecchi per la disabilità, ha sviluppato un’interessante tecnologia anche per il mercato mainstream, in questo caso l’industria dell’auto.

Già perché, come ha sottolineato l’ad di Unipol Carlo Cimbri in chiusura dei lavori, «per troppo tempo si parla innovazione in chiave tecnologica, ma ci sono tanti campi, ci interessa l’innovazione sociale. Il sociale non è a fondo perduto, si può fare sociale anche creando i giusti margini di profittabilità, questa è la frontiera». Senza dimenticare che a creare Facebook è solo 1, mentre sono le piccole innovazioni che possono migliorare in processi, contribuendo a consolidare un sistema produttivo ormai sempre più a rischio sbriciolamento.

LE ALTRE TRE TAPPE DEL ROADSHOW
A Mirandola si è parlato di “Ricostruzione post terremoto, come ridurre i danni e farne il motore di uno sviluppo sostenibile”. Nella città simbolo del sisma dello scorso anno la spinta del “sistema territoriale” ha portato a individuare un modello di governance per la gestione delle calamità, che la Regione Emilia-Romagna si prefigge di rendere uno schema nazionale attraverso la definizione di una legge quadro. Grazie a questa ricetta Mirandola sembra aver posto le basi per uscire dal tunnel in un tempo record.

A Bari si è parlato di giovani e start up dalla prospettiva delle politiche pubbliche e delle iniziative di comunità. Al centro del dibattito l’esigenza di fare squadra, creando sulla start up un intero ecosistema, una policy, un contesto favorevole intorno all’innovazione e l’invito ai giovani a puntare sulle idee, sull’innovazione, a crearsi lavoro puntando a soddisfare i molti bisogni non convenzionali insoddisfatti che ci sono in giro (come le soluzioni tecnologiche per i bimbi disabili). Con in testa un punto fermo: oggi il lavoro non si cerca, si crea.

All’Asinara si è parlato di “riqualificazione dei luoghi come opportunità di lavoro e valorizzazione dell’ambiente”, accendendo i riflettori sulla necessità di ripensare le norme nazionali per il rilancio delle aree protette, in direzione di una maggiore partecipazione del territorio.

A cura di ETicaNews – Elena Bonanni