11 luglio 2013 – Per il whistleblowing italiano parte il conto alla rovescia. Dovrebbe essere approvato entro la fine di luglio per essere già operativo dopo l’estate il piano anti-corruzione del Comune da Milano che (si veda anche l’articolo di ETicaNews “Wikigiustizia, utopia alla milanese”) ha accolto la mozione, approvata il 17 giugno scorso, che prevede di introdurre le segnalazioni per prevenire e indicare casi sospetti all’interno dell’ente pubblico.

Si tratta di una novità assoluta in Italia, dove il whistleblowing (letteralmente “soffiare nel fischietto” ma anche, se si vuole utilizzare un termine da cultura omertosa come quella che caratterizza il nostro Paese, “spifferare”), cioè il segnalare in forma anonima che qualcuno sta facendo qualcosa di scorretto, illecito o ha un comportamento che insospettisce, è un fenomeno che di fatto non esiste.

L’annuncio della data è stato fatto ieri dal promotore della mozione, il consigliere del Comune di Milano David Gentile, durante il convegno “Partecipazione e responsabilità. Il whistleblowing come strumento di contrasto alla corruzione negli enti pubblici”, organizzato da Transparency International Italia. I reati che si tenta di individuare e anche di prevenire sono quella legati alla corruzione, al peculato e alla turbativa d’asta.

Le segnalazioni potranno essere fatte dai 17mila dipendenti comunali (e non dai fornitori e dalle ditte rimaste escluse e questa è una pecca) in forma anonima a un Organismo di Vigilanza (ancora da costituire), il quale se le riterrà attendibili perché circostanziate avvierà indagini interne che potranno portare per esempio a sanzioni disciplinari, a demansionamento o a spostamento ad altra struttura.

Riguardo al problema dell’anonimato, esistono software che lo garantiscono a livello tecnologico. Uno di questi è il Globaleaks, messo a punto da Hermes – Centro per la Trasparenza e i Diritti Digitali in Rete, che sviluppa tecnologie per la libertà e la trasparenza. Il software è totalmente libero e in autunno uscirà una versione aggiornata.

Il benchmark per il whistleblowing è il Regno Unito, «Paese – ha detto Giorgio Fraschini, di Transparency International Italia – il cui Public Interest Discolure Act è ritenuta una legge modello e che a differenza degli Stati Uniti non prevede un sistema premiale, che in nessuna parte d’Europa esiste».

In Italia una legge ad hoc non c’è: i riferimenti normativi sono l’articolo 54bis della legge 165/2011 che tutela il dipendente pubblico che segnala l’illecito e più in generale con la legge 231 sulla responsabilità d’impresa e sul codice etico.

Il problema della corruzione, in Italia, è enorme: «Secondo la Corte dei Conti – ha ricordato Davide Dal Monte, project officer di Transparency Italia – vale 60 miliardi l’anno».

In base al Barometro globale sulla corruzione pubblicato ieri da Transparency International, oltre il 60% degli italiani intervistati pensa che nell’ultimo anno la corruzione sia aumentata e che l’azione di contrasto sia del tutto inefficace. L’89% pensa che i partiti politici siano il luogo in cui la corruzione prolifera maggiormente. Il 62% degli italiani ritiene che i cittadini, se si impegnano, possano fare la differenza. Il 77% si dichiara disposto a partecipare attivamente alla lotta alla corruzione, sia sostenendo le organizzazioni e le associazioni che lavorano in questo settore, sia pagando un prezzo superiore per acquistare prodotti di società trasparenti e responsabili.

Ma soltanto il 56% degli italiani segnalerebbe un episodio di corruzione, a fronte di una media europea del 71% e di percentuali superiori all’80% nei Paesi nordici. Questo, perché la segnalazione sarebbe inutile, per paura di ritorsioni e per il contesto culturale (segnalare è considerato un atto di delazione).

 

A cura di ETicaNews