4 settembre 2013 – I report di sostenibilità, finora, sono considerati lo strumento più completo per sapere se e quanto un’azienda si impegna per un’economia e una società più eque e sostenibili. Ma i rapporti, oltre a essere documenti spesso molto lunghi e tecnici, hanno un difetto: non mostrano paragoni. In pratica, a che cosa serve sapere in assoluto che un’azienda produce tot tonnellate di anidride carbonica, consuma tot litri di acqua e quante ore di formazione fa svolgere ai suoi dipendenti, se non si hanno termini di paragone?

Ebbene, un primo termine di paragone ora c’è e mette a confronto le società del Ftse Mib. Per fare un esempio, e per citare un caso positivo, dal confronto emerge che Ansaldo è la società che fa meno discriminazioni in ambito retributivo. Ma è interessante dare un’occhiata anche alla coda delle classifiche, cioè a chi si guadagna le maglie nere in Piazza Affari. E qui i grandi gruppi nazionali dell’energia devono fare una riflessione.

La comparabilità è cruciale per capire, ma la sua attuazione non è così semplice e immediata come si potrebbe pensare. Non è un caso se l’Istat e il Csr Manager Network abbiano impiegato due anni di lavoro per mettere a punto 10 indicatori (e le relative modalità di calcolo) che consentono, per la prima volta, di misurare e comparare le performance ambientali, sociali e di governance delle aziende.

Ma c’è già un esempio di confronto sulla responsabilità sociale d’impresa che riguarda anche le società di Borsa Italiana. La fonte è il bilancio di sostenibilità di Terna (che ha come responsabile della Corporate social responsability Fulvio Rossi, che è anche presidente del Csr Manager Network, ndr), che costituisce molto probabilmente la prima applicazione dei criteri e della metodologia che seguono il percorso di analisi dell’Istat e getta una luce anche sulle società quotate italiane. Tra i tre panel di confronto considerati da Terna, uno era settoriale, composto dalle aziende di trasmissione europee e dalle principali extraeuropee, e due multisettoriali: le 40 aziende del Ftse-Mib al gennaio 2012 e le 19 supersector leaders mondiali individuate dall’agenzia di rating di sostenibilità RobecoSam.

I confronti hanno riguardato sette indicatori: il consumo di acqua, le emissioni di CO2, le perdite di SF (esafluoruro di zolfo), i rifiuti, la formazione, i differenziali retributivi per genere e il tasso di turn over in uscita. Terna ha svolto il confronto «nella convinzione che la comparazione interessi, oltre che l’azienda stessa anche i suoi stakeholder».

Un primo ostacolo è la rilevazione dei dati: nei panel sono state prese le aziende che rendono pubblici i dati utili al confronto sul proprio sito attraverso il report di sostenibilità (anche se non è redatto secondo le linee guida del Gri) o attraverso altre documentazioni (Hse report o relazione finanziaria per esempio). «Ciò ha comportato una riduzione del campione», scrive Terna nel report e come evidenziato nella tabella dei tre panel. Sul Ftse Mib soltanto 29 su 40 avevano dati utili. Evidentemente, qualcuno non ha garantito l’accesso ai dati.

Poi è stato incontrato un secondo ostacolo: «Il numero dei casi utili nei tre campioni, per il confronto di ciascun indicatore, è spesso inferiore al numero delle aziende che pubblicano il report di sostenibilità – spiega il report – . Questo dipende in primo luogo dalla indisponibilità dell’indicatore nel rapporto di sostenibilità di alcune aziende, ma spesso anche dall’adozione di definizioni di unità di misura diverse e non confrontabili».

Qual è stata la soluzione per permettere la confrontabilità? «La nostra scelta è stata quella di privilegiare la definizione cui corrisponde il maggior numero delle risposte utili nell’insieme dei tre panel, purché compatibile con le definizioni Gri. In alcuni casi sono stati esclusi dati che risultavano in contraddizione con altri pubblicati nello stesso rapporto di sostenibilità, mentre in altri casi è stato possibile ricostruire un indicatore coerente con la definizione adottata».

La metodologia, in ogni caso, non è ancora in grado di garantire una perfetta confrontabilità. «Nonostante le esclusioni – spiega Terna – in numerosi casi rimangono dubbi sulla comparabilità tra aziende, soprattutto quando si guardi alla distanza tra le performance medie e quelle migliori. E’, infatti, probabile che scostamenti significativi dipendano da difformi criteri applicativi – non esplicitati – dei protocolli Gri piuttosto che da comportamenti particolarmente virtuosi».

Inoltre, alcuni indicatori (consumo di acqua, rifiuti prodotti, emissioni di Co2) sono espressi come quantità fisiche in valore assoluto ed evidenziano livelli molto diversi a seconda del business dell’azienda (è ovvio che il consumo di acqua di una raffineria è di gran lunga maggiore rispetto a quello di una banca). In questo caso il confronto non assolve al compito di rendere comparabili le performance. Soltanto una parte dei confronti è pienamente soddisfacente, cioè presenta dati “normalizzati” (per esempio le ore di formazione pro capite). Gli altri confrontano grandezze assolute, quindi molto influenzate dal tipo di settore e dalla dimensione d’impresa. «Il nostro obiettivo – hanno spiegato in Terna – è di eliminare questi ultimi e aumentare il numero dei confronti normalizzati».

Fatte queste premesse, veniamo ai risultati.

IL CONSUMO DI ACQUA

Eni, con 2.583.870 migliaia di metri cubi, è la società che consuma più acqua di tutte, mentre Mediolanum con 37,5 è quella che ne consuma di meno, a fronte di una media 125.863 migliaia per le 23 società con dati disponibili. Se si passa al consumo per dipendente la società più virtuosa sono le Assicurazioni Generali (18,8), dall’altra parte c’è sempre Eni con 32.837,7. Si tratta di dati non indicativi dell’efficienza nell’utilizzo dell’acqua e non comparabili (troppe le differenze tra i diversi business), ma tali dati, scrive Terna, «pur non potendo essere interpretati come significativi delle performance aziendali nell’utilizzo efficiente della risorsa, forniscono almeno un’indicazione della rilevanza dell’utilizzo dell’acqua – quindi della materialità del tema in termini di sostenibilità – nei diversi settori e nelle diverse aziende».

LE EMISSIOMI DI CO2

In quanto a emissioni di anidride carbonica, la società (tra le 23 che hanno fornito i dati) che ne emette di più risulta essere l’Enel, con 123.832 migliaia di tonnellate di Co2 equivalenti. Ubi Banca la società con meno emissioni, pari a 12,3 migliaia di tonnellate. La media del Ftse Mib è di 9.472,7 migliaia. Anche in questo caso, come nel confronto sull’acqua, è chiaro che le grandi differenze sono assoggettabili alle tipologie di business, e che quindi l’informazione ha più un valore in senso assoluto, che non in termini di efficienza relativa.

I RIFIUTI

Enel è in cima alla classifica (in tutto sono state confrontate 24 società) per la produzione di rifiuti: 11.639.212 tonnellate. Ansaldo quella che ne produce meno (676,2), per una media di 691.932,9 tonnellate. I dipendente di Intesa Sanpaolo producono la minor quantità di rifiuti pro capite (0,04 tonnellate), mentre quelli di Enel la maggiore (154,4) a fronte di una media di 12,1 tonnellate.

IL TURN OVER IN USCITA

Stmicroelectronics ha i maggiori flussi in uscita di personale, con un tasso di turn over del 18,5%, paragonato all’1% di Buzzi e al 7,2% di media. Davvero un paradosso, se si pensa che la stessa StM è la società (a pari merito con Terna) che fa svolgere più ore di formazione al personale (51 all’anno pro capite), a fronte delle minime 5,6 ore di Lottomatica e alle 30,8 di media tra le 26 società che hanno pubblicato il dato.

IL DIFFERENZIALE RETRIBUTIVO

Per non essere discriminate a livello retributivo dove dovrebbero cercare lavoro le donne? Di sicuro nelle attività internazionali di Ansaldo, in cima alla classifica delle società virtuose per quanto riguarda il trattamento di impiegati, quadri e dirigenti. Le differenze di retribuzione maggiori a livello dirigenziale si registrano in Atlantia, per quanto riguarda i quadri in Intesa Sanpaolo all’estero, mentre per gli impiegati va sempre male Atlantia.

Fausta Chiesa

 

A cura di ETicaNews