4 febbraio 2014 – Si sono chiuse ieri negli Stati Uniti le consultazioni pubbliche sul regolamento diffuso dalla Sec (Security and exchange commission) sull’equity crowdfunding. Negli utimi 90 giorni il documento, pubblicato il 23 ottobre scorso, è stato sottoposto al parere di tutti gli stakeholder interessati. E ha innescato un acceso dibattito, soprattutto in relazione ai diversi paletti imposti dalla Consob americana.
Alcuni punti, da un lato limitano fortemente la portata dei finanziamenti da parte dei partecipanti alla raccolta, dall’altro, la possibilità di accesso ai finanziamenti stessi per le start up. Tra i passaggi più controversi ci sono i costi di ingresso per le start up, il limite agli investimenti e l’autocertificazione della situazione finanziaria. «Al centro del dibattito – scrive il sito Usa entrepreneur.com – la preoccupazione che, scrivendo norme che regolino l’equity crowdfunding e proteggano gli investitori non sofisticati dal perdere soldi, la spontaneità che lo rende attrattivo diminuisca. In altre parole, rendendolo più sicuro, i regolatori corrono il rischio di ucciderlo».
I COSTI DI INGRESSO PER LE START UP
Per un’impresa che voglia ricorrere all’equity crowdfunding, allo stato attuale, la spesa si aggira tra i 20mila e i 50mila dollari, secondo quanto evidenziato dal sito web entrepreneur.com. E non è detto che questi costi, d’altronde, vengano premiati dalla riuscita del finanziamento. Le voci che pesano di più in bilancio sono quelle relative alla contabilità. La mole di scartoffie e certificazioni che gli startupper saranno costretti a compilare implicherà, necessariamente, il ricorso a un professionista in grado di eseguire correttamente questa attività preliminare all’accesso alla piattaforma. Crowdfundinsider.com (sito di informazione indipendente sul mondo del crowdfunding) chiarisce bene le ulteriori voci di spesa come la Cpa review (una sorta di certificazione interna che garantisca lo stato finanziario dell’azienda) per le start up che volessero accedere a finanziamenti tra i 100mila e i 500mila dollari, e la Cpa audit (il ricorso a un revisore dei conti esterno), nel caso la raccolta dovesse essere superiore ai 500mila dollari. La prima ha un costo che si aggira intorno ai mille dollari, la seconda dai 5mila dollari in su. Per non parlare delle spese per la protezione degli investitori dalle frodi. Qui si iniziano a contare somme a quattro zeri. Inutile dire che queste spese dovranno essere affrontate prima.
Kiran Lingam, avvocato e consigliere della piattaforma SeedInvest, su entrepreneur.com ha proposto la possibilità di un “prospect model” in cui gli imprenditori «possano valutare l’interesse di eventuali investitori verso il loro progetto prima di accedere al finanziamento». Questo per far sì che le aziende siano in grado di valutare il proprio potenziale di successo prima di spendere decine di miglia di dollari per dare inizio alla raccolta.
LIMITE AGLI INVESTIMENTI
La Sec ha messo un tetto al contibuto massimo che può essere versato dal singolo investitore. Questo perché, mentre chi svolge questa attività per professione (business angel, venture capitalist) è in grado di valutare i rischi di un investimento di questo tipo, quelli alle prime armi potrebbero non capirlo. Per questo motivo, nessuna azienda che ricorre all’equity crowdfunding può raccogliere più di un milione di dollari nell’arco di 12 mesi. Per parte loro, gli investitori non possono investire più di 2mila dollari o il 5% del loro reddito annuo o patrimonio netto se inferiore ai 100mila dollari. Se superiore a questa cifra possono arrivare a un investimento del 10% del patrimonio, a patto che in 12 mesi non versino più di 100mila dollari.
AUTOCERTIFICAZIONE DELLA SITUAZIONE FINANZIARIA
Se c’è un tetto agli investimenti dettato dal reddito o patrimonio netto degli individui, allo stesso tempo, gli investitori devono fornire una valutazione di quest’ultimo. Un’altra delle note dolenti riguarda proprio questa “autocertificazione” della situazione finanziaria. L’investitore, infatti, non è in alcun modo incentivato a essere onesto riguardo il proprio patrimonio. Di conseguenza, persone con scarse conoscenze finanziarie potrebbero essere spinte a dichiarare patrimoni o redditi superiori, nella speranza di andare a spartirsi fette più grosse della torta di un’azienda che reputano possa farli diventare ricchi (e rischiare così, di giocarsi tutta la pensione). Insomma, paletti che da un lato limitano l’investimento, dall’altro sono aggirabili e non garantiscono comunque la sicurezza dell’investitore.
Raffaela Ulgheri
A cura di ETicaNews