17 luglio 2013 – L’azienda che investe in etica lo fa perché fa bene al business, non più perché mette al riparo dai rischi. È il tema cruciale, e piuttosto dirompente, che emerge dal sesto rapporto annuale sul tema della leadership etica e di compliance, a cura del Legal Research Network (Lrn), pubblicato di recente con l’obiettivo di ricercare indicazioni sull’impatto dei principi etici sulle pratiche di business a livello globale. Lrn, realtà non profit fondata nel 1994 allo scopo diffondere l’applicazione di sani principi etici nella condotta di business, si occupa da anni di queste tematiche, e tramite il suo network internazionale consolidato, composto da esperti e professionisti del settore, fornisce indicazioni sui trend internazionali, la cui evoluzione è accelerata dall’attuale crisi finanziaria ed economica.

Il documento è basato sui risultati di un sondaggio che ha coinvolto i rappresentanti di più di 180 società da tutto il mondo, operanti in settori diversificati. Tutte queste organizzazioni sono presentate come leader in tema di etica commerciale e compliance, e nel campione sono annoverate diverse società multinazionali di grandi dimensioni (il 40% delle organizzazioni prese in esame conta più di 15.000 dipendenti). Da questa edizione dello studio, inoltre, è stato messo a punto il Program Effectiveness Index (Pei), uno strumento in grado di dare una valutazione dei programmi E&C (Ethics and Compliance) dei diversi soggetti coinvolti in termini di efficacia degli impatti e dei risultati, e non solo di input investiti e output immediati (quali il numero di persone formate attraverso un corso in aula, piuttosto che quello delle chiamate ricevute da una helpline).

È interessante notare come i partecipanti al sondaggio abbiano indicato, per il secondo anno consecutivo, come priorità per le loro aziende la crescita, la riduzione dei costi, e l’innovazione. Sembra che sia opinione diffusa che adottare principi etici, o per meglio dire, che la creazione di una cultura d’azienda fortemente improntata all’etica, possa contribuire al raggiungimento di questi obbiettivi. Per la prima volta infatti, l’80% del campione intervistato individua come maggiori benefici di una cultura dell’etica diffusa nel business la creazione di valore e il miglioramento della performance, superando così gli effetti positivi in termini di compliance. Il tema della creazione di una cultura etica è di primaria importanza, come conferma la percezione di maggior efficacia, misurata tramite il Pei, dei programmi volti ad «assicurare un comportamento etico e un allineamento del processo decisionale e dei comportamenti con i valori fondanti» rispetto a quello aventi «come obbiettivo il mero rispetto di regole e regolamentazioni». In altre parole, anche valutando gli esiti con il Pei, i progetti che puntano ad agire sulla coscienza etica producono più efficacia che non i progetti finalizzati a “difendersi” dalle regole.

LA LEGGE DEL “COME”

L’uso del Pei pone quindi in evidenza l’importanza di un approccio basato sui valori, piuttosto che sulla conformità alle regole, per poter massimizzare i risultati degli investimenti in programmi E&C. L’altro importante aspetto da tenere in considerazione è che, nonostante si possano individuare economie di scala in progetti di grandi dimensioni con la spesa di ingenti somme, ciò non è correlato con l’efficacia del programma. L’impatto sui risultati è determinato da come i fondi sono impiegati. E non, dunque, principalmente dal quanto. Sotto questo aspetto, identificare modalità di investimento comuni aiuterebbe sicuramente a fare luce sugli aspetti di un progetto che più contribuiscono alla creazione di valore, accrescendo le possibilità di apprendimento su come sviluppare un programma efficace.

In termini di rischi, è opinione degli intervistati che i maggiori pericoli per etica e compliance nel 2013 siano quelli inerenti alla privacy dei dati sensibili (74%), ai conflitti d’interesse (70%), alla protezione dei dati elettronici (68%), e alla corruzione (62%). Interessante notare come per il 41% del campione la gestione dei social media rappresenti uno dei rischi più importanti.

LA COMPETIZIONE DEL “COME”

Questi dati, e più in generale i risultati dello studio, evidenziano come stia crescendo la consapevolezza di un cambiamento nelle preferenze dei consumatori, o almeno di una parte sempre più consistente di essi. Questo concetto è enunciato, non a caso, nella prima pagina dello studio. In un mercato sempre più saturo, con una crescente mercificazione di beni e servizi, la competizione si sta spostando dal «cosa viene prodotto» al «come viene prodotto». Vi è maggiore attenzione alle relazioni e ai processi, piuttosto che ai prodotti e alle transazioni. Questi sviluppi sono fonte di rischio per le imprese ma anche, ovviamente, di nuove opportunità nella creazione di valore, che viene quindi determinato in maniera crescente dal modo di produrre ed erogare un servizio. Da questo punto di vista una cultura etica d’impresa può avere un impatto molto forte. Lo studio evidenzia come la maggior parte dei programmi E&C siano ad oggi sviluppati nei settori più regolati. In futuro, la correlazione tra questi due elementi potrebbe non essere più così scontata.

Filippo Franzoi

 

A cura di ETicaNews