25 marzo 2013 – «Il Parlamento è riuscito a resistere alle pressioni inglesi e non ha consentito cambiamenti ai limiti dei bonus». Questa frase di Udo Bullmann, parlamentare europeo del partito socialdemocratico tedesco, è la migliore rappresentazione di ciò che ha significato, la scorsa settimana, la storica decisione di Consiglio e Parlamento europei (prima del genere a livello mondiale) di porre un limite ai bonus dei manager delle banche.
La prima valutazione è di merito: la norma, che entrerà in vigore dal primo gennaio 2014 (ma si applicherà ai bonus versati nel 2015), prevede bonus massimi pari al doppio dello stipendio. Il DOPPIO non è un moltiplicatore da poco. Constatare quanta resistenza ci sia stata da parte di Londra, è un messaggio di quanto forte sia ancora il potere (lo strapotere) bancario nella City e, di riflesso, in Europa.
La seconda considerazione è di metodo. Ed è il vero punto della questione. Con l’approvazione di una normativa di questo genere, infatti, l’Europa si auto-impone un cambio radicale di strategia. Ovvero, adotta una strada di intervento coattivo e diretto nelle questioni di governance societaria. In questo caso delle società-banche. Una misura resa necessaria, come si evince dalle dichiarazioni di Bullmann, da resistenze che hanno evidentemente vanificato decennali tentativi di regolazione più soft.
Negli anni, infatti, l’approccio dell’Europa e dei suoi singoli Stati in merito alle questioni di governance è sempre stato improntato al principio del comply or explain, ovvero alla definizione di un quadro di indicazioni di riferimento, ma non vincolanti. Unico obbligo, nel caso le società coinvolte decidessero di non sottostare a quelle indicazioni, era quello di spiegare le ragioni della mancata adozione delle stesse.
Un interessante aggiornamento di questa strategia è di queste settimane. La Commissione europea, infatti, ha presentato due roadmap, ossia due documenti predisposti per fornire una descrizione di importanti iniziative che l’esecutivo europeo si appresta a mettere in atto. Una si chiama “Revisione della Direttiva sui diritti degli azionisti (2007/36/EC)”, e si inquadra nell’Action Plan fatto proprio da Bruxelles lo scorso 12 dicembre, finalizzato a rivedere le norme che regolano la corporate governance. In particolare, questa roadmap si prefigge di agire sull’azionariato attivo, ovvero recepisce come “ci sia necessità – si legge – di incoraggiare maggiormente gli shareholders a ingaggiarsi nella corporate governance. Agli azionisti dovrebbero essere offerte più possibilità di monitorare le politiche di remunerazione e le transazioni con le parti correlate. Inoltre, un certo numero di imposizioni dovrebbero essere previste per gli investitori istituzionali, asset manager e proxy advisor per sviluppare strategie effettive di azionariato attivo».
Comincia a essere evidente un maggior grado di invasività dell’azione di Bruxelles nelle questioni di governance.
Più delicata è la seconda roadmap, denominata “Rafforzamento dell’impianto di corporate governance nella Ue”. Il bersaglio, in questo caso, si sposta dagli azionisti alle società. La Commissione prende atto che la strategia della «soft law, ovvero dei codici di autoregolamentazione», non ha funzionato. La cosa era già chiara da uno studio del 2009, quando Bruxelles rivelò «un’importante inefficacia nell’applicazione del principio del comply or explain […] In particolare – si legge – in oltre il 60% dei casi in cui le società scelgono di non applicare le raccomandazioni, le stesse poi non forniscono adeguate explanation delle ragioni della mancata adozione». Con l’avvio della roadmap, la Commissione di propone l’obiettivo di ottenere «un miglioramento dell’applicazione del principio del comply or explain producendo guidance adeguate a livello europeo».
Bruxelles, in questo caso, non minaccia il passaggio da una situazione di soft law a qualcosa di maggiormente coattivo. La minaccia, evidentemente, è la peggiore posizione da sostenere, quando si parla di società quotate.
Eppure, mettendo in fila i tasselli si può leggere un quadro non certo morbido. La prima delle due roadmap comincia a parlare di paletti precisi da apporre. La seconda si limita a parlare di «rafforzamento», evitando attacchi più bruschi. Ma, intanto, laddove la soft law, come nei bonus bancari, ha fallito, Bruxelles infine è riuscita a gettare la maschera e a imporre le prime norme al mondo sulla governance.
A cura di ETicaNews