5 novembre 2012 – Csr, questa “sconosciuta” del grande giornalismo italiano. Mentre i media tradizionali cavalcano l’onda dell’indignazione popolare nei confronti di furberie ormai insostenibili a ogni livello pubblico e privato, sembra che nelle analisi giornalistiche ancora non ci sia posto per indagini o confronti con i concetti della responsabilità sociale di impresa (corporate social responsibility). E così, mentre si susseguono gli studi che dimostrano come i principi di Esg (environmental, social e governance) siano interiorizzati dal mondo della finanza, al punto da essere scontati nei prezzi di Borsa (vedi l’ultimo articolo in proposito), è semplice verificare come la Csr sia posta ai margini della notiziabilità.

Per una rapida verifica, basta un check all’interno degli archivi on line dei due più importanti quotidiani italiani generalisti, corriere.it e repubblica.it. Inserendo la parola “Csr” nei due motori di ricerca interni ai siti, considerando un arco temporale di dodici mesi, precisamente dall’ottobre 2011 al 2 novembre 2012, i risultati sono emblematici. In primo luogo, il quotidiano del gruppo l’Espresso risulta assai più attento di quello di Via Solferino. Ma, per entrambi, i numeri di articoli pubblicati contenenti “Csr” sono inconsistenti. Su corriere.it compaiono 5 articoli in un anno. Su repubblica.it sono 24, ma uno è ripetuto per 3 volte, due per 2 volte, uno è il nome di una squadra sportiva, il che riduce il numero a 19 (per giunta, con tre notizie di appuntamenti). E non vale la scusa che gli acronimi, per di più in lingua straniera, sono abitualmente mal visti nelle redazioni giornalistiche. Infatti, rilanciando la ricerca col termine esteso “responsibility” i risultati sono anche peggiori (utilizzare “corporate” e “social” porta a risultati troppo caotici). Inoltre, in questo caso, il termine “Csr” è specifico e identificato. Infatti, è usato liberamente negli articoli individuati.

Il taglio e il contenuto degli articoli, inoltre, è emblematico di una sorta di “ghettizzazione”. Analizzando i risultati su repubblica.it, accanto alle notizie “curiosità”, come le biciclette di Copenaghen (dove la sigla “Csr” è confinata in un link), la parola “Csr” compare qualche rara volta in casi aziendali, ossia quando si parla in via specifica di aziende che fanno della responsabilità sociale elementi integranti della strategia di business (“Gli inventori del Totocalcio sposano il gioco responsabile”), ma il più delle volte perché viene citato un Csr manager della società. Ottengono qualche spazio anche le analisi generali che riportano statistiche sul segmento ( “L’innovazione diventa sostenibile e anche il manager si specializza”). Discorso simile sul corriere.it, dove la manciata di news riguarda ricerche specifiche dell’uno o altro ente, con la spruzzata ambientalista delle mele del trentino.

Fin qui, l’analisi di ciò che c’è. Tuttavia, è forse ancora più interessante cercare di ragionare su ciò che non c’è, ossia quando il termine “Csr” non viene impiegato. L’obiettivo è stabilire se ci siano riscontri o meno della sua presenza quando si valutano casi giornalistici in cui aziende dal nome importante si siano trovate al centro di comportamenti non proprio “social”. Dunque, si può ripetere la stessa ricerca, l’arco temporale è il medesimo, incrociando stavolta la parola “Csr” con il nome di una grande multinazionale. Per esempio, quello di Finmeccanica, società leader della difesa (e già per questa ragione target assai sensibile) finita travolta da una serie di scandali di governance e corruzione che hanno registrato episodi anche nell’ultimo anno. Ebbene, su repubblica.it, i risultati sono zero. Su corriere.it, pure.

Lo stesso risultato “tondo” emerge con altri incroci: Ilva, Parmalat e Bpm. La prima, un caso di disastro ambientale prolungato; la seconda, nome assai noto per gli scandali passati, è adesso un caso di scalata estera a una società italiana, con conseguente riassetto societario che ha rischiato di ridurre cassa e posti di lavoro; la terza, una banca che ha costretto i suoi obbligazionisti, in buona parte piccoli risparmiatori, a operazioni con forte perdita di capitale. In tutti i casi, nessun accenno al termine “Csr”.

Eppure, in casi del genere sarebbe interessante verificare le eventuali strategie di Csr delle società (o di chi le acquisisce). A partire, per esempio, dall’esistenza o meno del bilancio sociale. Oppure, di una funzione preposta a sviluppare strategie di responsabilità e sostenibilità. Sarebbe interessante sia in caso negativo (cioè di non-esistenza), in quanto sarebbe una conferma della noncuranza strutturale verso i principi Esg da parte dell’azienda. E sarebbe anche più interessante in caso positivo, essendoci un documento siglato dal management, e spesso certificato da un revisore, nel quale sono scritti impegni precisi. Il cui mancato rispetto accende responsabilità verso shareholders e stakeholders, se non addirittura (nel caso le politiche di Csr siano integrate con i modelli indotti dalla legge 231, quella che prevede la responsabilità della persona giuridica per illeciti commessi dalla propria struttura) responsabilità verso la giustizia.

Manuela Messina

 

A cura di ETicaNews