19 novembre 2012 – Nel panorama delle aziende italiane non quotate, quel tessuto di Pmi spesso caratterizzate da prodotti di nicchia e di eccellenza, spicca un grande assente: la trasparenza. Sembra quasi che, più che considerare la comunicazione di informazioni “strategiche” come un vero e proprio asset (per esempio per avere più merito nel credito bancario o per essere appetibili da parte di un ipotetico socio finanziario o industriale), la divulgazione di dati di natura finanziaria (dal bilancio di esercizio al piano industriale, dal posizionamento competitivo al trend di mercato) è vista quasi come un’intromissione. L’analisi emerge da uno studio realizzato dalla società di consulenza finanziaria Ir Top. Anche quelle informazioni che più genericamente fanno conoscere all’esterno il valore di un‘azienda (il tasso di innovazione, la qualità del personale, la vision e la strategia, il brand, la sostenibilità e la responsabilità sociale) sono taciute. Un atteggiamento di opacità che denota la scarsa propensione a un tema chiave, la trasparenza, appunto, a sua volta riflesso della ridotta cultura di Csr dell’imprenditoria italiana. Insomma, le aziende nazionali non solo evidenziano una sorta di allergia alla redazione dei bilanci di sostenibilità (si veda in proposito l’articolo “Borsa, i 41 big senza bilancio Csr“), ma lo stesso atteggiamento oscurantista si estende anche in materia di mere informazioni strategiche e finanziarie.

L’indagine ha coinvolto 130 aziende con fatturato superiore a 15 milioni di euro (il 49% ha un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro, il 10% superiore ai 350 milioni), ebitda margin superiore al 10% e con rapporto tra posizione finanziaria netta ed ebitda inferiore a 4. Per la maggior parte si tratta di aziende familiari con un elevato potenziale di crescita e con un’accentuata apertura all’internazionalizzazione (il 77% opera all’estero).

Se il 74% ha una società che certifica il bilancio, la comunicazione di report infrannuali è scarsa. Le società che elaborano la relazione semestrale qualitativa sono soltanto il 25% e nel 18% dei casi il documento è corredato dei relativi prospetti contabili. La relazione trimestrale qualitativa è elaborata dal 43% delle società; nel 42% dei casi il documento è corredato dei relativi prospetti contabili.

L’elaborazione di un piano strategico è fatta soprattutto dalle imprese con un fatturato superiore a 200 milioni di euro (oltre il 75%), ma tre Pmi su quattro al di sotto di 10 milioni di euro di ricavi non lo fanno. L’analisi di previsione riguarda soprattutto il fatturato (81%), ma sono poche le società che danno indicazioni su costi (34%), indici di redditività (21%) e utile ante imposte (22%). Ancor meno si comunicano i fatti rilevanti (5%) o le operazioni straordinarie (5%). Se avere il sito Internet è ormai scontato, soltanto il 15% ha un’area finanza e mancano la disclosure sugli assetti proprietari e la relazione di corporate governance. Nella maggior parte dei casi, i siti web sono prevalentemente orientati al marketing.

La predisposizione di un piano strategico supera il 75% dei casi solo nella società con fatturato superiore ai 200 milioni di euro; le variabili oggetto di previsione si riferiscono principalmente al fatturato (81% dei casi), mentre per le altre grandezze economico-patrimoniali-finanziarie la percentuale si riduce notevolmente.

Il bilancio è lo strumento di comunicazione principale nel dialogo con le banche e con gli azionisti. La comunicazione con le banche a breve termine avviene al massimo mensilmente mentre con i finanziatori a medio lungo termine avviene al massimo trimestralmente. Il dialogo con i finanziatori avviene principalmente con l’utilizzo, oltre che del bilancio annuale, delle relazioni trimestrali e del budget, mentre il confronto con le banche a medio-lungo termine si basa sull’utilizzo delle relazioni trimestrali e del piano strategico.

 

A cura di ETicaNews