Assogestioni approva le linee guida di stewardship per le società di gestione del risparmio. Ma dal consiglio direttivo dell’associazione di categoria non arrivano indicazioni obbligatorie, bensì principi “volontari”. Prevale, insomma, una certa discrezionalità. E ora bisognerà vedere chi sceglierà di adeguarsi, sperando che le best practice appena licenziate assumano popolarità tra i gestori ben prima della fine del 2015, scadenza per il primo monitoraggio da parte di Assogestioni. I sei principi emanati (vedi qui il documento), delineano i diritti e i doveri degli investitori istituzionali nelle società quotate e puntano a stimolare la diffusione delle pratiche di azionariato attivo, uno dei tasselli fondanti della finanza Sri in quanto strumento di partecipazione e condivisione. Al principio Uno si definisce il principio della massima trasparenza, stabilendo che «le Società di gestione adottano una politica documentata, a disposizione del pubblico, che illustri la strategia per l’esercizio dei diritti inerenti agli strumenti finanziari di pertinenza degli Oicr e dei portafogli gestiti».

IL DIBATTITO EUROPEO
D’altra parte, la presa di coscienza sull’importanza del ruolo dell’azionariato attivo è ormai da tempo un processo europeo. Già da tempo la Commissione ha raccomandato gli investitori istituzionali di essere trasparenti riguardo al modo in cui esercitano le loro responsabilità di soci, il che comprende in particolare la partecipazione alle assemblee e la trasparenza sul loro voto in sede assembleare. «La disclosure di questa informazione – ha detto Bruxelles – potrebbe incoraggiare l’impegno degli azionisti e aumentare il senso di responsabilità delle società nei confronti della società civile». E qualche giorno fa anche François Passant, executive director di Eurosif, ha sottolineato che «l’attuale crisi economico-finanziaria ha messo in evidenza la pericolosità di strategie di investimento passive da parte di quegli azionisti istituzionali che, viceversa, avrebbero il potere di indirizzare le grandi corporation». In altre parole, gli investitori che detengono quote delle grandi società devono impegnarsi per farsi ascoltare e così condividere le scelte dei manager. Infatti, i principi di stewardship, benché rivolti a gestori di portafogli, si riflettono indirettamente anche sul comportamento degli emittenti quotati, che sono chiamati a favorire il dialogo con gli investitori, i gestori e i rispettivi advisor, e degli investitori istituzionali che affidano a terzi la gestione dei propri patrimoni, ai quali viene richiesto di condividere con i relativi gestori talune scelte su come interagire con le società partecipate.

I principi licenziati da Assogestioni fanno infatti esplicito riferimento alle best practice Efama (l’associazione di categoria europea di cui Assogestioni fa parte) pubblicati nel 2011 con il Code for External Governance, che a loro volta si presentano molto simili a quelli contenuti nello Stewardship Code inglese. Il codice inglese, pubblicato nel luglio 2010 e rivisto nel 2012, opera sulla base del meccanismo comply or explain, il che significa che non è obbligatorio adeguarsi ai principi ma se non lo si fa, si deve spiegare il perché sui propri siti internet.

ADERISCI? COMUNICALO
Tuttavia, c’è una differenza piuttosto sostanziale tra i principi adottati dall’Efama e quelli del codice britannico. Infatti, le linee guida di Assogestioni non prevedono la clausola comply or explain, proprio poiché ricalcano quanto scritto dall’associazione europea: «Al fine di migliorare la trasparenza e dimostrare l’impegno verso standard elevati di corporate governance esterna, una Società di gestione dichiara pubblicamente la volontà di aderire ai seguenti Principi, ad esempio sul proprio sito internet o nel bilancio annuale. Detta dichiarazione dimostrerà agli investitori l’impegno esplicito della Società di gestione per una buona governance esterna».

In altre parole, si dovrà dichiarare solo l’adesione. Mentre non sarà necessario spiegare la non adesione.

Inoltre, Assogestioni ha precisato, nel comunicato sul proprio sito intenet, che il consiglio direttivo «ha ritenuto opportuno non prevedere un termine cogente entro il quale i destinatari dei Principi siano tenuti ad applicarli. I soggetti interessati sono liberi di decidere se, quando e come adeguarsi. Un primo monitoraggio, in questo senso, sarà realizzato entro la fine del 2015». Va ricordato poi anche che, anche per chi sceglie di aderire ai principi, per motivi pratici saranno applicati da ciascuna società secondo un approccio proporzionale basato su criteri quantitativi e qualitativi, quali la struttura organizzativa della società di gestione e del gruppo di appartenenza, l’entità della partecipazione detenuta e il peso della stessa rispetto al portafoglio del fondo o dei fondi gestiti.

Insomma, per ora è ancora un liberi tutti. Una rivoluzione partita a metà.

CHE FATICA L’AZIONARIATO ATTIVO
C’è chi attendeva questa strategia soft da parte di Assogestioni, in conseguenza dei dissapori che si racconta siano emersi, dietro le quinte, quando circa un anno fa il Comitato governance di Borsa Italiana mise il tema all’ordine del giorno. Gli investitori istituzionali vedono infatti nell’azionariato attivo un fronte di incremento di oneri e impegni: presentarsi in assemblea, studiare i bilanci in chiave migliorativa, avanzare osservazioni e, soprattutto, rendere conto del proprio operato in maniera trasparente ai sottoscrittori delle quote del fondo.

In ogni caso, il documento di Assogestioni rappresenta un passo verso la giusta direzione, perché per lo meno stabilisce un primo benchmark di riferimento su cui si potrà valutare e misurare la trasparenza e la governance esterna degli investitori istituzionali. Anche alla luce delle evoluzioni sul fronte del mondo dei fondi pensione: all’inizio di maggio, in collaborazione con Mefop e Assofondipensioni, il Forum per la finanza sostenibilie (Ffs) ha dato il via a un gruppo di lavoro sull’azionariato attivo nei processi di investimento delle forme pensionistiche complementari per facilitare le pratiche di azionariato attivo ed incrementarne la diffusione tra i fondi pensioni italiani. Il codice di stewardship avvia infatti un percorso concreto di riflessione, per quanto appena intrapreso, sulla necessità di rinnovare le dinamiche del modello di finanza nazionale partendo dagli operatori che hanno in mano la maggior parte del patrimonio, i fondi.

A cura di ETicaNews – Elena Bonanni