7 aprile 2014 – Cara classe dirigente, sulla sostenibilità proprio non ci siamo. È la denuncia lanciata dal Worldwatch Institute, organizzazione indipendente di Washington che da quarant’anni si occupa di monitorare la salute del globo. Il 29 aprile, l’istituto presenterà la sua pubblicazione annuale State of the world 2014. La denuncia diventerà circostanziata: Governing for sustainability. Nel mirino, insomma, finisce la governance.

È l’occasione per tornare a riflettere sull’importanza della governance lungo tutta la scala sociale. Governance significa governo, ma significa anche regole di governo, nonché, soprattutto, struttura e cultura di governo. Questo vale dalle più piccole organizzazioni (la famiglia), alle aziende, fino a quelle più allargate e rappresentative (le istituzioni). Ora, il concetto di sostenibilità prevede in sé un concetto simile a quello di sacrificio, quanto meno nel breve periodo, o quanto meno se paragonato alle abitudini sociali vigenti. Infatti, va a collidere in maniera diretta con il concetto di free rider, ossia con gli atteggiamenti individuali che sfruttano i vantaggi che offre un ambiente che segue le regole-sacrifici, vantaggi generati proprio dal fatto di ignorare quelle regole-sacrifici.

Di fatto, dal punto di vista delle scienze delle finanze, la sostenibilità è un bene pubblico come le strade, come la sicurezza, come la scuola. Diventa perciò evidente quanto sia importante riuscire a inocularla nel sistema, in modo che sia parte delle sue regole di funzionamento, di quelle scritte come di quelle non scritte: regole formali (leggi), ma anche modalità di selezione, premiazione, condanna, condivisione dei comportamenti. E, soprattutto, modalità di pensiero. Coscienza.

Ecco perché occorre ragionare, anche negli ambiti aziendali, anche tra chi si occupa di Corporate social responsability, su quanto la governance sia un fattore oggi ancora troppo sottovalutato. Un’azienda può mettere in pratica la migliore iniziativa umanitaria o ambientale. Ma se il suo “sistema di governo” funziona senza coscienza, saranno semplicemente iniziative spot, destinate all’alveo del greenwashing e poco più. Del resto, chi comincia a occuparsi di analisi finanziaria Sri (socially responsible investing) sembra che, al momento di valutare le aziende, ponga in primo piano le questioni legate alla governance (vedi l’articolo “L’Aiaf scopre l’analisi sostenibile“; vedi anche articolo di oggi “Azionisti Usa sfidano i manager“). Ma la situazione non è trasparente. È significativo l’appello lanciato nel corso del Salone del risparmio dall’economista Tito Boeri nell’evento di Assogestioni (vedi articolo “Esg, il futuro è una corretta governance“) in termini di necessità di un corretto governo della finanza. Così come erano significativi i risultati delle ricerche, diffuse lo scorso anno da Fondazione Unipolis, per cui «risultano ancora scarsamente esplorate le questioni che riguardano il rapporto tra le politiche di Csr e la governance d’impresa» (vedi articolo “Non c’è Csr senza governance”).

Salendo la scala delle organizzazioni sociali, il World economic forum di Davos ha più volte puntato il dito sull’arretratezza della governance istituzionale in confronto ai temi di sostenibilità e responsabilità sociale. E adesso tocca al Worldwatch Institute. «I cittadini – si legge nella presentazione di State of the world 2014 – si aspettano che i propri governi siano una guida sulla sostenibilità. Ma dalla largamente deludente conferenza di Rio II all’incapacità degli Stati Uniti di dotarsi di una significativa normativa sui cambiamenti climatici, i progressi governativi sono latitanti. Questo non significa che le leadership siano assenti, ma spesso vengono dal basso piuttosto che dall’alto. Le azioni – sul clima, la salvaguardia delle specie, l’iniquità sociale e altre crisi di sostenibilità – sono guidate a livello locale, da donne e uomini e movimenti di base, in ogni angolo del mondo. Spesso, in opposizione alle agende perseguite da governi e grandi corporation».

A cura di ETicaNews