22 febbraio 2013 – Il Vaticano finisce sotto i riflettori di Standard Ethics, che da ieri lo ha incluso nella lista dei Paesi a cui è assegnato il rating di sostenibilità. Ebbene, secondo l’agenzia che mira a promuovere i principi dell’Unione Europea, delle Nazioni Unite e dell’Ocse in materia di sostenibilità, responsabilità sociale e buona governante, il Vaticano ha un giudizio di “EE-”, più basso di quello dell’Italia che gode della “doppia E” piena. La classifica e le motivazioni che ne stanno alla base sono contenute nel report sui rating annuali alle nazioni Ocse 2013 pubblicato ieri, 21 febbraio. I Paesi promosso a pieni voti, cioè con la tripla E, sono soltanto quattro: Danimarca, Islanda, Norvegia e Svezia.

Il Vaticano è nella parte medio-bassa del ranking, dietro a Grecia, Brasile, Slovacchia, Portogallo, Repubblica Ceca. I motivi? “Anche se si notano chiari tentativi di adeguarsi alle necessità di trasparenza e rendicontazione delle proprie finanze e delle proprie istituzioni finanziarie (come le leggi del 2010 in esecuzione alla Convenzione Monetaria tra il Vaticano e l’Unione europea del 2009) – si legge nel report sui rating annuali alle nazioni Ocse – rimangono numerose opacità da rimuovere”. A sfavore del Vaticano giocano anche la “particolare tradizione istituzionale che lo ha portato a non assecondare le scelte di tipo democratico assembleare effettuate nel resto d’Europa”, il che lo rende tuttora “un sistema assolutistico”.

Segno d’ammodernamento sono, invece, “gli sforzi di accettare con maggiore convinzione del passato il primato della legislazione civile sui propri chierici”. Ad esempio, il recente scandalo sugli abusi verso i minori ha segnato – pur nella drammaticità degli episodi – un momento positivo nell’evoluzione legislativa interna. Certamente, i passi compiuti non possono considerarsi un punto d’arrivo se si pensa che un abuso su di un minore è certamente considerato dalle norme un “grave delitto”, ma rimane classificato tra quelli “contro i costumi” (Normae de gravioribus delicti e recenti modifiche).

L’Italia, almeno in fatto di sostenibilità, migliora la sua posizione e ha outlook positivo. Merito “del potenziamento dell’Autorità garante della concorrenza, degli interventi contro il cumulo degli incarichi nel settore bancario (interlocking directorships), di una maggiore trasparenza nella gestione dei fondi statali contro il rischio di ingiustificati privilegi e della coerenza e della tempestività degli interventi macro economici in coerenza alle politiche europee di riordino delle finanze pubbliche, seppure gravidi di pesanti ripercussioni sulla pressione fiscale verso i cittadini”. Standard Ethics rileva anche una rinnovata attenzione, in particolare promossa dalla Presidenza della Repubblica e da alcune forze politiche, per la risoluzione delle incertezze e dei ritardi in materia di giustizia civile e penale, associati a una degna gestione delle case di reclusione, che rappresentano alcuni degli aspetti di maggiore preoccupazione per un osservatore esterno.

E gli altri? Rispetto al 2012, è stato alzato a “EEE-“ il giudizio sugli Stati Uniti (outlook stabile) per il sostanziale rientro delle politiche internazionali configgenti la centralità delle Nazioni Unite e il rispetto dei diritti umani (soprattutto nei casi di prigionia), la riforma interna nel campo della sanità e del diritto alla salute e l’avvio di politiche in campo fiscale ed economico riguardose delle condizioni sociali più critiche.

Declassata l’Ungheria (con outlook negativo) a causa dell’arretramento dell’impianto costituzionale in merito ai diritti individuali e politici e sul fronte dell’equilibrio informativo, mentre il precedente outlook positivo per l’Egitto in riferimento al processo di democratizzazione in atto è stato rimosso.

Fausta Chiesa

 

A cura di ETicaNews