9 gennaio 2013 – Accadeva nel marzo 2008: Richard Fuld, leader leggendario di Lehman Brothers, veniva ricompreso tra i 30 migliori Ceo del mondo dalla prestigiosa rivista Barron’s. Pochi mesi dopo, lo stesso Fuld annunciava la fragorosa bancarotta della banca d’investimento americana, che avrebbe poi ufficialmente disvelato la più grande crisi economica attraversata da Usa ed Europa dal dopoguerra a oggi. Nello stesso anno Mark Campanale e Pradeep Jehti, manager di investment funds con un attenzione particolare verso lo sviluppo sostenibile il primo, development manager del London Stock Exchange il secondo, raccolgono le prime 250mila sterline attorno al loro progetto di Social Stock Exchange (Sse). Un’intuizione che, alcuni anni dopo, in un contesto economico fitto di macerie e lontano da una ripresa sistemica, sta per diventare realtà.

AI BLOCCHI DI PARTENZA
Dopo aver chiuso il 2012 con una raccolta di due milioni di sterline, la Borsa Sociale (o qualcosa che le si avvicina molto) sta per partire in anticipo sulla tabella di marcia, entro il secondo trimestre dell’anno. Per contrappasso, Fuld è ormai presenza fissa nelle classifiche dei peggiori Ceo di tutti i tempi, è scomparso dai radar di Wall Street, ed è stato costretto ad abbandonare un impiego presso una boutique di brokeraggio finanziario per i controlli particolari sul suo ruolo da parte delle autorità regolatorie e per l’incapacità di attrarre clienti. Impossibilitato a svolgere il proprio lavoro, da quello stesso ambiente che gli aveva garantito ricchezza e successo per decenni. In maniera distorta, però.

«Il ruolo basilare di un mercato di capitali è quello di servire risparmiatori di lungo periodo e società che hanno bisogno di fondi per crescere, e non per scopi di trading speculativo», ha detto con grande semplicità Jethi in un recente colloquio, illustrando il suo progetto. Nel lungo periodo, aggiunge, la Sse diventerà obsoleta, quando il capitalismo sarà diventato più responsabile: in quel momento – dice – avrà terminato il suo lavoro. Nel frattempo i due fondatori, che hanno incontrato il decisivo sostegno della Rockfeller Foundation e di un pool di investitori istituzionali, si sono dati un orizzonte di sei anni per permettere alla piazza di crescere e radicarsi. Chi ne farà parte? Business e imprese con un focus specifico di carattere sociale e/o ambientale: fair trade, educazione, salute, social housing, tecnologie pulite. Imprese già operanti, con la necessità di attrarre capitali per svilupparsi. Imprese che in alcuni casi hanno già intrapreso questa strada, cercando di farsi spazio con grande difficoltà nella Borsa mainstream. «Stagecoach Theatre Arts Schools, Parry People Movers, Good Energy, Radicle Projects, Eaga e Adilli sono esempi di social business che ha scelto di rivolgersi al pubblico e di essere nel listino di una borsa valori», ha scritto Campanale.

PIATTAFORMA AD HOC
Ma riconoscendo lo scarso impatto che queste aziende possono avere nel competere con colossi di altro spessore, la scelta è stata quella di sollevarle dal rumore di fondo della City creando una piattaforma ad hoc, con il contestuale obiettivo di aprirsi a organizzazioni finora lontane dall’immaginarsi presenti nel mercato dei capitali. La Sse permetterà l’acquisto di azioni e di bond di organizzazioni che risponderanno ad adeguati requisiti d’ingaggio: oltre alla mission sociale, un’accurata due diligence e un monitoraggio costante del rispetto delle norme. Quest’attività, che avrà il supporto di Triodos Bank (banca olandese pioniera nel settore “etico”), sarà fondamentale, insieme a una price discovery quotidiana e a un entrata e un’uscita più semplice dall’investimento, per garantire la credibilità necessaria per rivolgersi non solo al piccolo risparmiatore ma anche a un certo tipo di investitori finora trascurato. Spiega Campanile: «I piani pensione degli oltre tre milioni di impiegati nel Terzo Settore nel Regno Unito restano interamente investiti in organizzazioni del primo settore, attraverso l’acquisto di azioni di tradizionali società quotate nelle tradizionali Borse valori. Solo una piccola parte (se c’è) di questo capitale viene reimpiegata in organizzazioni del terzo settore e nel social business».

L’idea di un meccanismo che facilitasse gli investimenti nel business sociale viene da lontano: già nel 2003, in Brasile, Bovespa introduceva una piazza dove permettere l’incontro di progetti a sfondo sociale e potenziali finanziatori. Negli anni l’esperimento, in forme sempre diverse ma con l’obiettivo di aprire nuovi spazi al social e al business, viene replicato in Sud Africa (Sasix), negli Stati Uniti (Kiva), nel Regno Unito (Gexsi), in Danimarca (Myc4), finanche alle Mauritius. Qualcosa di più di semplici indici come il Ftse4Good o il Dow Jones Substainability Index, ma ancora troppo poco per introdurre quella rivoluzione copernicana che dovrebbe vedere le imprese riacquistare il proprio ruolo all’interno della società. Qualcosa che, invece, sta cercando di operare la Sse, contestualmente a Impact Investment Exchange (Iiix) di Singapore, anch’essa pronta a partire. Pradeed Jethi è infatti convinto che l’impatto sociale e ambientale generato dalle imprese quotate dovrà essere compreso nel loro prezzo di listino. Ma questo è un cambiamento ancora lontano da venire. Al momento si limita a parlare al portafoglio degli investitori: «È un falso mito che il social business abbia ritorni inferiori ai business tradizionali, basta guardare alle banche e ad altri settori negli ultimi anni». È vero Mr Fuld?

Felice Meoli

 

A cura di ETicaNews