13 dicembre 2012 – L’etica paga. O meglio, i consumatori sono disposti a pagare per l’etica. Le aziende che hanno investito per promuovere prodotti sicuri ed ecosostenibili iniziano a incassare. Soprattutto in quella moneta poco sonante, ma dal potenziale elevato, rappresentata dalla “fiducia della clientela”. Lo rivela una ricerca condotta dall’Istituto Ipsos sull’evoluzione del concetto di fiducia in tempi di crisi. A commissionarla, la società Findomestic, specializzata nell’erogazione di prestiti, che ha cercato di capire come sono cambiati i punti di riferimento personali e sociali degli italiani nel corso degli ultimi anni. Le risposte fornite dal campione non lasciano spazio ai dubbi: la “dimensione pubblica”, percepita come astratta e “distante”, è la sfera più penalizzata dalla mancanza di fiducia. Mentre viene rivalutato e ricercato un nuovo rapporto privato, basato su condivisione e solidarietà. Ma se questo, tutto sommato, rientra nei canoni classici di un periodo di crisi, ciò che appare come una sorta di svolta storico-sociale per l’Italia è contenuta nelle slide 11 e 23 del rapporto. Che delineano nella dimensione etica la strada di uscita dal tunnel. Alla domanda «Quali sono gli elementi su cui è necessario investire di più per recuperare fiducia e superare il difficile momento che stiamo vivendo?», tra le risposte la parola “etica” sbaraglia il campo con una larghissima maggioranza (il 66%), seguita da “meritocrazia/competenza” e dal “rispetto delle regole”.

Ancor più significativa appare la declinazione del concetto di etica nelle azioni quotidiane, a cominciare, appunto, dai consumi. Ambito in cui, addirittura, finiscono per essere messi in discussione alcuni principi di marketing fino a oggi ritenuti intoccabili (almeno in Italia) come la brand awareness o l’innovazione percepita. Qui la domanda è stata: «Per quali ragioni alcuni marchi sono di sua fiducia? Che cosa hanno di particolare? Indichi le due ragioni principali per cui ritiene alcuni marchi di fiducia». Ebbene, la qualifica di “etici/sicuri” ottiene il punteggio massimo (53%, quindi scelta almeno da uno su due degli intervistati), battendo concetti come “leadership” e “moderni/tecnologici”. Nelle declinazioni delle caratteristiche etiche, poi, predomina l’aspetto “sicurezza”, ma figurano in modo sostanziale la “trasparenza” e l’”ecosostenibilità”, mentre spuntano la “responsabilità” e addirittura l’”attenzione ai dipendenti”.

Nell’ambito delle istituzioni economiche, la fiducia è quasi un dominio delle piccole imprese italiane (80%), davanti alla grande distribuzione organizzata (59%) e, a conferma di quanto enunciato sopra, alle grandi aziende (56%) e ai marchi famosi. Ultime della classe, ovvero in grado di suscitare ben pochi sentimenti di simpatia, Borsa Italiana (26%) e il sistema bancario in generale (21%).

Da sottolineare, inoltre, che pure nella sfera pubblica sembra esserci uno spostamento verso figure che incarnano un valore aggregante, quasi – concetto assai forte per l’Italia – un valore di Nazione. Tra le istituzioni che più godono la fiducia degli Italiani vi sono, infatti, nell’ordine: Polizia e Carabinieri (82%), Esercito (78%) e Presidenza della Repubblica (76%). È evidente, viceversa, il discredito verso i partiti politici, ritenuti poco degni di fiducia (15%) in quanto deboli nel produrre una visione che possa guidare il passaggio verso un nuovo equilibrio globale. Se si passa alle categoria delle “istituzioni deputate alla rappresentanza di interessi”, tra quelle ancora in grado di conquistare la stima degli italiani, vi sono in primis le associazioni dei consumatori (73%) seguite dalle associazioni no profit (69%) e da quelle ambientaliste (58%).

Dalle istituzioni alle categorie professionali la sostanza non cambia. Gli italiani sentono di non poter fare affidamento sui politici, i professionisti della finanza, gli immobiliaristi e gli agenti di vendita. Tra i soggetti ritenuti più affidabili emergono invece gli scienziati, i giornalisti, gli imprenditori e i comici: ad essere apprezzate sono caratteristiche quali competenza, capacità di innovare, spirito critico e propensione alla denuncia di vizi e virtù di casa nostra.

La ricerca sottolinea come a cambiare in questi anni sia stato di fatto il “modello di fiducia” nella sua globalità: si è passati da un sistema decisionale che detta gli obiettivi dall’alto e in cui la responsabilità del cambiamento è affidata ad altri (in primis istituzioni pubbliche), ad un meccanismo di definizione delle priorità dal basso, all’interno di comunità sociali sentite come più vicine.

Torna quindi in auge il vecchio detto “l’unione fa la forza” e cresce la fiducia nella dimensione collettiva dell’esistenza. Aumenta la consapevolezza della necessità di riunirsi per cercare soluzioni e strategie più efficaci di gestione dei problemi: la dimensione collettiva viene però intesa non come il modello in cui trovare un’identità, bensì come aggregazione legata al raggiungimento di uno scopo. Come ad esempio la ricerca della convenienza attraverso i gruppi di acquisto o il coinvolgimento nelle attività delle associazioni di volontariato.

Rosaria Barrile

 

A cura di ETicaNews