3 novembre 2014 – Per ora ancora nessun indirizzo specifico. Ma dentro e fuori Assofondipensione il dibattito sulla finanza Sri è in corso. Ormai sono diversi, come documentato da ETicaNews nell’indagine Caccia allo Sri, i fondi pensione negoziali che hanno adottato strategie Sri. Per il presidente dell’associazione di categoria, Michele Tronconi, intervistato da ETicaNews nell’ambito del dossier communitySri (che verrà presentato giovedì al convegno di ET. “Il valore sociale nascosto dello Sri”), la comprensione e condivisione del valore sociale è una sfida da cui i fondi pensione non possono esimersi perché essi stessi sono «frutto della sussidiarietà dal basso» e per questo «pieni interpreti del principio di solidarietà». Una sfida che però deve procedere senza sottovalutare i nodi da sciogliere: la dimensione dei fondi che vincola la capacità di agire in autonomia su questi temi e i cambiamenti fiscali emersi con la legge di Stabilità.

Sono diversi i fondi pensione negoziali che hanno iniziato ad adottare strategie responsabili, Assofondipensione ha preso una posizione sulla finanza Sri?

Nel corso degli ultimi anni, una parte di fondi pensione associati ha attivato processi di controllo o monitoraggio secondo criteri Sri sulla qualità del proprio patrimonio investito. A quanto consta, comunque, tutti i fondi sono aperti alla discussione e frequentano le sedi di dibattito sulla questione. Assofondipensione non ha assunto in materia propri indirizzi, ma partecipa attivamente a questo dibattito e svolge un’azione di stimolo, anche partecipando attivamente alle attività del Forum per la Finanza Sostenibile. Devo aggiungere che su argomenti così delicati, come la politica di investimento che spetta al singolo fondo, l’associazione non assume comunque posizioni cogenti per gli associati.

E’ un tema di dibattito frequente all’interno dell’associazione e con gli iscritti?

Nell’ultimo anno le priorità sono cambiate da un mese all’altro. Un anno fa era un tema caldo. Oggi il problema principale dei fondi pensione è incrementare le adesioni e riportare parte degli investimenti sull’economia reale del nostro Paese. Da ultimo, il tema prioritario riguarda le tematiche fiscali: solo quattro mesi fa, abbiamo avuto l’aumento all’11,5%, dall’11%, sui rendimenti pensionistici e ora, con la manovra di Stabilità, la tassazione sale ulteriormente al 20 per cento. Non possiamo trascurare, poi, che il fenomeno degli investimenti socialmente responsabili in generale, ma soprattutto nel settore della previdenza complementare, è piuttosto complesso, sia per le diverse motivazioni degli attori in gioco sia per le dinamiche attraverso cui interagisce col contesto economico e sociale. È un tema che richiede i necessari approfondimenti, in particolare sulle attività di comparazione tra le aspettative di rendimento degli investimenti socialmente responsabili e quelle delle strategie di investimento tradizionali. L’approccio in questa fase è ancora di prudenza.

Ma proprio di questi tempi, in cui i fondi pensione sono tirati per la giacca per dare un contributo e un sostegno all’economia reale, hanno l’esigenza di capire come giustificare le proprie scelte di investimento agli iscritti. La finanza Sri potrebbe offrire un criterio per rispondere a questa esigenza?

Idealmente è uno degli elementi che rafforza e risponde al desiderio di ogni iscritto di riportare il risparmio delle persone a finanziare l’economia reale, creando un circolo virtuoso: ogni iscritto accantona per il proprio futuro non lavorativo e vorrebbe che il proprio risparmio finisse col potenziare le probabilità di rimanere al lavoro, così da avere un reddito e continuare ad accantonare. Credo, così, che ogni lavoratore vorrebbe che questo risparmio rimanesse in gran parte in Italia, andando ad aumentare la sostenibilità della nostra economia.

E nella pratica?

La logica etica non deve andare a scapito degli obiettivi di rendimento e di contenimento dei rischi, perché altrimenti si fa una cosa contraria al mandato conferito dai sottoscrittori. Per esempio, in questi anni di turbolenza dei mercati finanziari, 2/3 del risparmio pensionistico è stato investito fuori dall’Italia per contenere il cosiddetto “rischio Paese”, diversificando i panieri nazionali. Una prudenza premiata perché ha assicurato agli iscritti la salvaguardia del capitale e un rendimento superiore alla rivalutazione del Tfr. Aumentare la quota di investimenti nell’economia reale italiana richiede anche una strumentazione adeguata che noi non abbiamo ancora.

In che senso?

Il d.m. 703/96 specifica come i nostri fondi negoziali debbano operare, privilegiando la modalità indiretta, tramite gestori professionali, solitamente delle Sgr, selezionate attraverso bandi di gara pubblici. In altre parole, i nostri fondi non gestiscono direttamente il denaro degli iscritti. Sempre secondo il d.m. 703/96, lo possono fare entro il limite del 20% delle masse amministrate, ma per farlo si deve passare attraverso la costituzione di un fondo chiuso, che poi finanzierà l’iniziativa A o B, o acquisterà quote di altri fondi ancora. L’idea su cui si stava lavorando era quella di costituire un apposito fondo per il mondo della previdenza, che consentisse a tutti i fondi pensione negoziali, grandi e piccoli, di partecipare, su base volontaria, a finanziare l’economia reale secondo criteri di sostenibilità.

E ora?

Tutti buoni propositi che sono quasi naufragati a causa della manovra di Stabilità, che ha un po’ ha schiaffeggiato il mondo della previdenza; facendo saltare, di fatto, un dialogo collaborativo con il Governo che ci aveva fatto molto ben sperare. Ora, conviene ancora iscriversi a un fondo pensione complementare, rispetto a lasciare il Tfr in azienda, o a farselo anticipare in busta paga, ma i segnali dati dalla manovra fanno pensare a un cambio di atteggiamento radicale nei confronti della previdenza integrativa. Dopo vent’anni di leggi e agevolazioni per incoraggiare il comparto, adesso è come se si dicesse che la cosa non è più rilevante; che i problemi del primo pilastro sono svaniti e che i lavoratori non devono più accantonare risorse per quando saranno in pensione. Credo, tuttavia, che i fondi pensione negoziali di più grandi dimensioni faranno qualcosa autonomamente per aumentare la quota di investimenti in Italia e favorire la ripresa.

Una sostenibilità a due velocità, quindi.

Si dimentica spesso che gli aspetti di eticità e sostenibilità richiedono dal punto di vista dell’investitore procedure diverse. Significa andare al di là del bilancio. Tutti abbiamo abbandonato la logica iniziale dell’everything but arms o del ritenere etico determinati comportamenti o prodotti: l’aspetto etico e della sostenibilità va più in là; riguarda il rapporto con tutti gli stakeholder. E questo richiede di avere risorse. C’è più sostenibilità da parte di chi può permettersi certi costi, in termini di capitale umano, o in termini informativi, come avviene nei fondi pensione più grandi. I più piccoli sono disposti ad ascoltare, ma hanno meno possibilità di passare dalle parole ai fatti. Prendiamo, per esempio, gli stessi rating etici che hanno una forte giustificazione pratica: permettono di integrare importanti informazioni in grado di fare evitare errori, catturando aspetti reputazionali e di continuità non rilevabili in altro modo. In altre parole, aiutano ad evitare di mettere risorse su nomi che hanno alti rating di tipo standard, ma che poi saltano su scandali o eventi specifici. Il rating etico è comunque un costo aggiuntivo che incide maggiormente se il fondo pensione è di piccola dimensione.

C’è un problema strutturale quindi che frena lo sviluppo della finanza Sri?

Indipendentemente dalla finanza Sri, il nostro mondo dovrà porsi un problema di dimensione ottima minima, che ora la legge di stabilità impone ancora di più. I fondi pensione devono raggiungere una certa massa critica e molti negoziali non l’hanno raggiunta perché il perimetro di adesione è limitato; non sono fondi, per esempio, che possono istituire agevolmente la cosiddetta funzione finanza.

La comprensione e condivisione del valore sociale potrebbe però rappresentare un elemento catalizzatore dell’interesse degli iscritti favorendo lo sviluppo del fondo.

Non possiamo esimerci dall’affrontare questa sfida: siamo il frutto della sussidiarietà dal basso, delle parti sociali che collaborano per creare il secondo pilastro della previdenza. Già così siamo pieni interpreti del principio di sostenibilità. Detto questo, non dobbiamo illuderci che i lavoratori antepongano questi aspetti al rendimento. Allo stesso tempo è anche vero che dobbiamo avere il coraggio di investire sul territorio, indipendentemente dal rapporto col Governo.

Quali strade pratiche vede?

Il tema dell’occupazione è centrale; se gli iscritti rimanessero senza lavoro non avrebbero più modo di accumulare per la pensione. Così sarebbe auspicabile favorire la tenuta dell’occupazione concentrandosi su qualche grande progetto di investimento che favorisca la crescita della produttività totale dei fattori. Come nel caso delle infrastrutture, dove però tutto è difficile per la mancanza di garanzie, a partire dal frequente cambiamento delle norme di riferimento. Fare investimenti a lungo termine, in Italia, è molto difficile. Ci possono però essere delle opportunità che rappresentano una buona mediazione tra un orizzonte troppo lungo e uno troppo breve; penso, per esempio, alla rete ad alta velocità. Nel complesso, penso che le opportunità ci siano, ma che bisogna usare le competenze giuste e costruire strumenti adeguati. Una progettualità sfidante, davanti a cui non vogliamo tirarci indietro. La nostra disponibilità c’è, sempre che qualcuno non voglia continuare a giocarci contro, solo perché siamo una bella espressione di autonomia delle parti sociali.

Elena Bonanni

A cura di ETicaNews