15 gennaio 2014 – Il primo progetto è finalmente partito, Diaman Tech. Ma a inizio 2014 il grande interesse del 2013 per l’equity crowdfunding si è tradotto in ancora scarsa operatività. Del plotoncino atteso sulla scena, per ora sono approdate in Consob solo due piattaforme. Unicaseed (dove si presentata Diaman Tech), registrata alla sezione speciale perché portale di una società attiva nell’intermediazione mobiliare (Unicasim), e Starsup, iscritta ormai da ottobre nella sezione ordinaria ma che di fatto non ha ancora iniziato a operare. Per gli esperti si tratta di un avvio fisiologico, vista la complessità della normativa e le problematiche tecniche. Anzi. Ci dobbiamo preparare a un 2014 fino troppo scoppiettante in termini di nuove piattaforme, assicura Claudio Bedino, vice-presidente di Italian crowdfunding network (Icn) e fondatore e ceo della piattaforma di crowfunding reward-based Starteed. Bedino si attende per questo nuovo anno uno scenario affollato e frammentato, caratterizzato da una specializzazione territoriale e settoriale, a cui in un secondo tempo seguirà un processo di selezione dove il fattore umano farà ancora la differenza. Ma, avverte, perché l’equity crowdfunding rivoluzioni veramente il mondo degli investimenti molto dipenderà ancora dalle banche.
Come mai a sei mesi dal varo della normativa, l’avvio dell’operatività è così difficile?
La normativa è stata sviscerata solo recentemente e ci sono ancora tante criticità. Direi anzi che c’è fin troppo fermento. Noi, con Starteed, ci occupiamo anche di realizzare con la nostra tecnologia piattaforme personalizzate e al momento abbiamo 3-4 piattaforme equity based in pipeline su cui stiamo lavorando. Mi aspetto che nel 2014 ne vedremo fin troppe.
Quali sono le criticità?
Oltre ai problemi tecnici che stanno affrontando alcune piattaforme, ci sono certi passaggi della normativa che ancora non sono chiari, per quanto sia stato fatto nel complesso un buon lavoro. Un punto controverso, per esempio, è quello che riguarda quei soggetti che non sono Sim o banche e che quindi si devono collegare a una banca per instradare gli ordini. Non c’è un’offerta da parte degli istituti su questo. Prendiamo l’aspetto dei costi: che percentuale sono degli ordini, l’1%, il 2% o l’8%? Inoltre, l’opportunità oggi è limitata perché è riservata a start up innovative ma c’è l’interesse del regolatore ad aprire l’accesso e a tendere è un mercato ghiotto per tutti. Ad oggi stanno partendo tipicamente soggetti privati e piattaforme territoriali spinte da incubatori, spesso con partecipazioni pubbliche.
Qual è lo scenario che ci aspetta nei prossimi mesi?
La mia opinione è che nel 2014 si costruirà un’offerta anche troppo ampia. E che si caratterizzerà per due tipi di frammentazione: per settori o sensibilità ai temi particolari, e per territorio. Nasceranno piattaforme legate al digitale, o al green tech oppure all’edilizia. Noi, per esempio, stiamo lavorando su una piattaforma che si occuperà di artigianato di lusso e moda. La frammentazione sarà anche a livello territoriale, perché generalmente sulla scena di una start up troviamo gli spin off universitari, gli incubatori e la finanza pubblica con i bandi regionali. Qui ci sono specificità che non sono a carattere nazionale.
Perché questa specializzazione?
La difficoltà per la piattaforma, che per legge ha delle responsabilità, è che deve fare l’analisi dei progetti. Non è pensabile avere competenze su tutto, ma bisogna sviluppare skill su un certo settore. Allo stesso tempo sarà difficile avere su una stessa piattaforma progetti completamente diversi proprio per le esigenze delle singole società, dal momento che ogni categoria di progetto avrà delle necessità specifiche. Il che è un bene perché una delle cose che vediamo tutti i giorni è il problema delle barriere all’entrare.
In che senso?
Quello che vedo è che le start up non sono preparate per fare equity crowdfunding. E la piattaforma non è solo un veicolo tecnico ma un consulente: dovrà offrire un set di assistenza anche nella creazione dell’ impresa, dai patti parasociali a tutto quello che la normativa richiede per accedere a capitali online. Il frazionamento iniziale è quindi un aspetto positivo perché c’è una vicinanza maggiore o al territorio o alla tematica. Il che soddisfa l’esigenza del mercato di essere assistito ulteriormente, dando a sua volta garanzie all’investitore che la start up farà un certo tipo di percorso perché seguita. All’inizio è facile perdersi.
Cosa succederà dopo?
Il funzionamento delle piattaforme richiede anche passaggi manuali per concludere la transazione: la componente umana delle persone che stanno dietro è rilevante. Funzioneranno quelle che faranno sistema sia nel dare servizi alle start up sia nel fare rete per trovare investitori, con partnership di un certo livello. L’equity non è una piattaforma di reward per cui basta mettere in rete il progetto per avere successo. Fondamentale nei primi anni sarà il collegamento tra online e offline.
Qual è la sua opinione sull’applicazione dell’equity crowdfunding alle start up a vocazione sociale?
Sarà una strada decisamente interessante da osservare. Alcuni soggetti territoriali, insieme a banche del territorio e istituzioni, si stanno muovendo in questa direzione. Il crowdfunding si colloca in un trend di innovazione sociale ed economica che sta cambiando sostanzialmente le fondamenta dell’attuale modello di sviluppo, modificando il modo di rapportarsi dei cittadini con le istituzioni e le imprese. All’interno di questo tipo di piattaforme verranno ospitati quei progetti, che anche perseguendo attività di impresa, agiscono anche sui beni comuni e sull’innovazione sociale e che quindi hanno importanti ricadute sullo sviluppo e la valorizzazione del territorio.
Quale sarà il ruolo dell’equity crowdfunding nel mondo degli investimenti?
Da un lato, permetterà di diversificare a chi è abituato a fare investimenti, come per esempio i business angel, anche in relazione all’appetibilità legata al trattamento fiscale per chi investe in società innovative approvato dall’Unione Europea. Qui la soglia di investimento non scenderà di molto rispetto ad ora. Dall’altro lato, l’investitore non abituale, il piccolo risparmiatore comune, che viene coinvolto dal progetto avrà un approccio veloce ed emotivo ma una fascia di contribuzione che rimarrà bassa, dal momento che l’esenzione Mifid è per importi annuali sotto i 1.000 euro. Quando iniziamo ad andare fuori dall’esenzione Mifid la normativa obbliga infatti ad aprire un conto corrente sulla banca legata alla piattaforma. In altre parole, il piccolo risparmiatore, preferendo rimanere sotto la soglia Mifid, rimarrà un investitore di pancia che invece di fare reward crowfunding comprerà piccole quote di equity.
E la speculazione che ruolo avrà?
È possibile pensare a operazioni di finanza speculativa in vista di una istituzione che in futuro faccia rastrellamento di azioni. Il mercato di chi al posto di fare forex comprerà 500 euro di azioni diventerà invece interessante quando ci sarà la creazione di un secondario. La normativa non dice nulla, lascia la possibilità di crearlo, e c’è chi sta già pensando.
Sarà un mondo per addetti ai lavori?
Sì, all’inizio sarà molto per addetti ai lavori. Molto dipenderà dal ruolo delle banche. Se gli istituti offriranno nei loro strumenti di investimento anche questa via, allora l’equity crowfunding diventerà interessante. Da un lato, tenendo presente che si tratta di un investimento ad alto rischio, l’asset manager di un fondo o di una banca potrebbe considerare di mettere in portafoglio l’investimento in una start up innovativa, dall’altro la banca potrebbe offrire sui propri sistemi la possibilità di comprare non solo i titoli azionari ma anche quella di fare investimenti in start up.
Elena Bonanni
A cura di ETicaNews