21 gennaio 2013 – Senza governance non si fa una vera Csr aziendale. Il tema, piuttosto sottovalutato in Italia, emerge da una ricerca appena pubblicata sul sito della Fondazione Unipolis. L’ente del Gruppo Unipol ha messo a disposizione il Quaderno n°3, il primo in versione online, intitolato “Governance e Responsabilità sociale” contenente due ricerche. La prima, per quanto ormai datata (del 2009), è comunque un documento prezioso in quanto tenta una panoramica sui codici etici adottati in Italia. La seconda, invece, è una “sorpresa”, in quanto, appunto, si avventura in un campo spesso tralasciato da chi si occupa di Csr, ossia quello della governance. Lo studio è stato effettuato tra il 2011 e il 2012 sotto l’egida di un Comitato di indirizzo composto da: Giorgio Riccioni (coordinatore), Walter Dondi, Pierluigi Morara, Marisa Parmigiani, Elisabetta Righini, Lamberto Santini e Francesco Vella. Ed è stato curato da Costanza Russo, ricercatrice del Dipartimento di Scienze Giuridiche “A. Cicu” dell’Università di Bologna. L’analisi affronta «in modo specifico – si legge nell’introduzione – la relazione tra i modelli e le esperienze di Csr e i sistemi di governo delle imprese. Ancorché si discuta da tempo delle tematiche connesse alla responsabilità sociale e alla sostenibilità nelle aziende, risultano ancora scarsamente esplorate le questioni che riguardano il rapporto tra queste politiche e la governance d’impresa».

LA CONVINZIONE E LA SFIDA
La convinzione di base, spiega il documento, è che un nuovo di modello di business richieda «che l’intera struttura dell’impresa, a partire dal sistema di governance, sia pienamente coinvolta e permeata dalla cultura delle responsabilità etica e sociale. È prima di tutto responsabilità degli organi amministrativi e di governo garantire un indirizzo strategico e una coerente gestione dell’azienda che abbiano a costante riferimento una visione dei valori ispirati ad una sostenibilità di lungo periodo, in un’ottica di bilanciamento degli interessi dei diversi soggetti coinvolti, direttamente e indirettamente, nell’attività imprenditoriale. Da questo punto di vista, non è secondaria la modalità di organizzazione del governo societario, ma anche come viene strutturato il rapporto all’interno dell’azienda tra le funzioni che hanno le responsabilità strategiche e di gestione e le funzioni che si occupano specificatamente di responsabilità sociale e sostenibilità. Si propone cioè con più forza la questione dell’integrazione tra Csr/Sostenibilità e business dell’impresa».

Ed è qualcosa di assai oltre la contabilità. «Se infatti negli ultimi tempi è andato intensificandosi un confronto circa l’obiettivo di dare vita al cosiddetto “bilancio integrato” per le imprese, cioè un bilancio che integri i dati contabili con quelli sociali e di sostenibilità, la questione (diciamo pure la sfida) che rimane aperta è quella di riuscire a coniugare con coerenza valori proclamati con obiettivi economici e di sostenibilità, nell’ambito della quotidiana gestione dell’impresa. La questione va quindi ben oltre il sistema di rendicontazione per coinvolgere la cultura e la prassi aziendale».

RISULTATI LONTANI
L’esito dell’analisi, condotta su un campione di 84 imprese, indica come ci siano ancora parecchi passi da compiere. In primo luogo, lo studio evidenzia una «scarsa partecipazione della maggioranza delle imprese intervistate che è sintomatica di un particolare approccio alla Csr, intesa nel senso di adempimento meccanico di un dovere, sia esso di fonte legislativa o meno». Non c’è sensibilità alla rilevanza della questione, al punto da non ritenere utile dedicare risorse alla risposta di un questionario.

Inoltre, la ricerca evidenzia che, «pur essendo le imprese virtuose e avendo nella stragrande maggioranza dei casi una funzione ad hoc munita di relativo personale e budget, non vi è una visione condivisa circa l’allocazione della funzione di Csr all’interno di specifiche direzioni. Da qui si deduce come non sia ancora giunto a completa maturazione il riconoscimento di autonomia e di caratteri propri della Csr tali da poterla univocamente considerare come meritevole di una direzione a sé piuttosto che di esser parte di una specifica».

Viene inoltre sottolineato un aspetto interessante anche in prospettiva wikigovernance, ossia partecipazione diffusa al capitale dell’azienda. «Il Csr manager non rendiconta alla proprietà – si legge – che pure dovrebbe rappresentare un importante portatore di interessi capace di esercitare un potere di monitoring, bensì al management».

In generale, poi, manca un sistema di controllo e di obbligo a rendere verosimili le dichiarazioni di intenti: «Si evince – riporta l’analisi – come l’integrazione delle politiche di Csr nelle scelte strategiche e di business venga affermata nella maggioranza dei casi, ma non sia supportata dall’esistenza di meccanismi stringenti con riferimento all’adozione, da parte dei responsabili di unità operative, delle indicazioni date dal Csr manager. […] L’assenza di meccanismi stringenti determina di fatto una mancanza di enforcement della segnalazione che rischia quindi di rimanere “sulla carta”».

In conclusione, proprio verificando queste mancanze di governance, «va evidenziato che il modo in cui alcune società affermano di inglobare politiche valoriali nelle scelte di business rassomiglia più ad una dichiarazione di principio che ad un’attuazione sostanziale».

 

A cura di ETicaNews