29 ottobre 2012 – Un investitore americano che scommette sui principi Esg (environmental, social, governance) può battere il mercato. Ma, paradossalmente, oggi meno di qualche anno fa, poiché la quota di suoi colleghi di Wall Street che hanno imparato la lezione è tale da aver di fatto “integrato” nei prezzi le variabili di responsabilità sociale delle aziende. È la tesi del paper riconosciuto come migliore ricerca accademica nel corso della Principles for Responsible Investment Conference di Toronto, due settimane fa. Il lavoro, realizzato da Jenke ter Horst, Arian Borgers, Jeroen Derwall, e Kees Koedijk (università olandesi di Maastricht e Tilburg, nonché del Center for Economic Policy in London) si è focalizzato su “Stakeholder relations and stock returns: on errors in investors’ expectations and learning”, ovvero su quanto gli investitori sbaglino in termini di aspettativa, e quanto questi errori possano essere ridotti (ma anche “imparati”) tenendo d’occhio le pratiche Esg dell’azienda.

La ricerca è stata realizzata attraverso la costruzione di un indicatore che ha assegnato un valore alle “stakeholder relation” di una serie di aziende americane, nell’intervallo compreso tra il 1992 e il 2009. Ebbene, l’analisi dimostra che, considerando il campione di aziende meglio posizionate in termini di gestione delle relazioni con gli stakeholder (per esempio, quelle con migliori comunicazioni dei rischi ambientali o delle variazioni di governance), c’è stata la possibilità di battere ampiamente il mercato almeno fino al 2004. Da quell’anno, il potenziale differenziale si riduce progressivamente, segno che le “informazioni” legate ai parametri Esg non costituivano più notizie riservate ai pochi che sapevano interpretarle, bensì cominciavano a essere interiorizzate nei prezzi delle Borse.

«Ricerche recenti – scrivono gli autori – offrono plausibili indicazioni che l’accresciuta attenzione degli investitori alle informazioni agli stakeholder possa influenzare la loro abilità di previsione sui rendimenti azionari. In coerenza con gli studi di Bebchuk, Cohen e Wang, le variabili di corporate governance sono state capaci di consentire previsioni risk-adjusted migliori del mercato, ma poi la governance è divenuta un parametro tradizionale che ha caratterizzato le analisi di rendimento di una generalità di investitori».

Attualmente, il mercato dei capitali non si focalizza più sulla sola governance, bensì sul concetto più allargato di Esg, e sulle pratiche di condivisione dei parametri Esg con gli stakeholder.

«Questo paper – continuano – mette in evidenza che la qualità delle relazioni con gli stakeholder inizialmente garantiva informazioni privilegiate sul rendimento di un titolo, consentendo di anticiparlo al netto dei dubbi sui rischi che confondevano il mercato, a causa degli errori impliciti della massa degli investitori. Ma questo vantaggio di “conoscenza” è progressivamente diminuito dal 2004, dopo che la stakeholder issue è divenuta una conoscenza diffusa tra chi si occupa di listini».

La conclusione degli autori è rivolta «agli investitori professionali che si prefiggono obiettivi sia finanziari sia sociali». Dal un lato, spiegano i ricercatori, c’è una notizia negativa, ossia che «ci sono meno ragioni di qualche anno fa per puntare sulla Csr come strumento per alzare i rendimenti». Dall’altro lato, tuttavia, c’è l’aspetto positivo: «La prova che una buona gestione degli stakeholder comporta una riduzione degli errori previsionali sulle proprie società spingerà ulteriormente i manager a tenere le questioni di corporate responsibility al centro dell’agenda aziendale».

 

A cura di ETicaNews