18 dicembre 2012 – Che cosa realmente comunicano le aziende riguardo alla gestione delle loro risorse idriche? O, per meglio dire, che cosa omettono di raccontare? Per comprenderlo Kpmg ha analizzato i bilanci di sostenibilità delle maggiori 250 compagnie mondiali. Il risultato è stato un report intitolato “Sustainable Insight“, in cui è delineata la situazione attuale: pressoché tutte le imprese ne parlano, ma ancora poche offrono un quadro convincente e risposte adeguate su come affronteranno la carenza idrica nei prossimi decenni.

Dai dati del report emerge, infatti, che se anche il 76% delle società cita il tema della scarsità idrica nei report, ancora pochissime aziende stanno implementando progetti consistenti per fronteggiarla negli anni a venire. Il 60% delle imprese, infatti, non ha ancora definito alcuna strategia per il prossimo decennio. Per fortuna ci sono alcuni settori più virtuosi di altri: dall’analisi affiora la progettualità dell’industria mineraria (con il 100% delle compagnie attive per arginare la problematica) e di quella farmaceutica (con l’89 per cento) .

Il tema della carenza idrica è da tempo sotto i riflettori: «A Rio+20 il tema dell’acqua è stata una delle questioni prioritarie sollevate dai delegati. Alla conferenza c’erano più di 45 CEO delle più importanti compagnie mondiali come Coca-Cola, Dow Chemical, Nestlé, Levi-Strauss, Royal Dutch Shell e Tata Steel», ha sottolineato Wim Bartels, capo globale di Kpmg. Al summit, i diversi amministratori delegati hanno ricordato non solo l’importanza di raggiungere standard di sostenibilità idrica, ma hanno anche presentato la loro visione in merito alla questione. In una lettera hanno suggerito di aumentare il prezzo dell’acqua in modo che questo rispecchiasse maggiormente il suo valore di bene primario.

Nonostante questo dimostri una presa di coscienza del problema, soltanto un terzo società rilascia i dati sulle water footprint (tracciabilità) delle attività interne all’impresa. Ancora più significativo è però scoprire che solamente tre delle 250 imprese analizzate riportano qualche specifica (che comunque risulta non completa) rispetto alle water footprint dell’intero ciclo di approvvigionamento (supply chain).

E ancora, il 44% delle compagnie menziona, nei propri report, piani specifici per ridurre gli sprechi, ma soltanto il 27% tratta le acque contaminate. Infine, solamente una compagnia su dieci mostra che sta adattando il proprio business ai cambiamenti richiesti dall’ambiente e dal contesto storico. Dal report emerge, comunque, una maggiore attenzione alla problematica da parte di quelle imprese che operano in Paesi in cui la scarsità d’acqua è maggiore.

Dal quadro delineato dal report, i margini di miglioramento della reportistica risultano ampi. In primis, suggerisce Kpmg, ponendo attenzione a quattro elementi fondamentali:

• un’analisi meticolosa della supply chain per identificare dove la società è esposta maggiormente al rischio di carenze idriche;

• quantificare l’impatto che questi rischi hanno potenzialmente sul business;

• implementare un piano di gestione delle risorse idriche per ridurre, e dove possibile, eliminare questi rischi;

• impostare strategie di lungo periodo per preparare l’azienda a lavorare, e a essere redditizia, anche in un contesto in cui la carenza di acqua si fa sempre più grande.

Una maggiore attenzione al tema della carenza idrica è fondamentale per la sopravvivenza delle imprese stesse: «Le imprese che hanno già sviluppato una strategia sul lungo periodo – sottolineano gli autori del report – senza dubbio stanno incrementando la loro capacità di affrontare questo rischio evitando di esporre il loro business a una potenziale fallimento».

Elisabetta Baronio

 

A cura di ETicaNews