4 dicembre 2012 – La Borsa italiana fa qualche passo avanti in termini di wikigovernance, ossia di partecipazione degli azionisti alla vita delle società quotate. Ma resta strutturalmente “chiusa”, nel senso, un mercato ancora in mano ad azionisti di maggioranza che, di fatto o di diritto, mantengono saldo il controlli dell’azienda. In più, con consigli di amministrazione in cui resta evidente il fenomeno degli “intrecci”, ossia del cosiddetto interlocking. Sono le considerazioni che si possono trarre dall’analisi del “Rapporto 2012 sulla corporate governance delle società quotate italiane”, diffuso ieri da Consob, e realizzato sulle comunicazioni delle aziende relative al 2011 (compresa la stagione assembleare della primavera 2012).

La novità più rilevante, dunque, riguarda l’incremento dei soci in assemblea, il cui numero medio è passato dai 133 delle assise 2011 ai 150 degli appuntamenti di quest’anno. A sostenere l’ipotesi di un trend positivo di partecipazione del piccolo azionista, il fatto che l’aumento si è registrato a fronte di una riduzione delle presenze degli investitori istituzionali, scesi dagli 86 medi del 2011 ai 68 di quest’anno.

In termini di assetti proprietari, invece, più che di novità si parla di conferme. La Borsa di Milano resta un listino ancora poco propenso a vere e proprie public company, ossia società ad azionariato diffuso. Secondo i dati Consob, le società controllate di diritto da un socio con più del 50% del capitale rappresentano il 25,5% del totale. A questa percentuale va poi aggiunto il 10,2% delle società controllate da un patto di sindacato, ossia da un accordo tra un gruppo di soci. Infine, la quota più clamorosa, ossia i casi del controllo di fatto, ossia dove un singolo azionista è in grado di “esercitare un’influenza dominante sull’assemblea”, e che accade nel 44,4% dei casi. Una serie di situazioni che lascia meno del 20% del listino a una vera guida del mercato.

A questa forma di “blindatura”, leggendo i dati se ne può aggiungere una anche più subdola, in quanto meno evidente e probabilmente più invasiva. Ossia quella degli incroci delle posizioni di comando, con consiglieri di amministrazione che occupano più di una poltrona, fenomeno indicato col termine anglosassone di interlocking. Va ricordato che proprio quest’anno è entrato in vigore il divieto di pluri incarico per quanto riguarda il comparto finanziario (cioè non si possono avere incarichi in banche e assicurazioni differenti). Eppure, nonostante questo, i dati al 30 giugno di Consob rilevano ancora incroci pericolosi in percentuali assai elevate: solo 65 società su 260, le quali valgono però appena il 3,8% della capitalizzazione complessiva, hanno un consiglio di amministrazione composto da membri senza altri incarichi simili. Mentre 67 società, che valgono il 50% della capitalizzazione, hanno tra un quarto e metà dei consiglieri in posizione di interlocking.

Sempre in termini di composizione dei board, si nota (qui i dati si riferiscono al 31 dicembre) che è aumentato in maniera marginale (da 10 a 10,2) il numero medio dei consiglieri; che i consiglieri indipendenti si fermano sotto il 40% dei componenti il cda; e che sono praticamente inesistenti i consiglieri definibili “di minoranza” (in media 0,7 consiglieri per società).

Infine, un’occhiata alle quote rosa. Al 31 dicembre dello scorso anno, prima quindi dell’entrata in vigore della normativa sulle quote di genere, per la prima volta le società con almeno una donna in consiglio di amministrazione sono oltre la metà di quelle presenti in Piazza Affari (il 51,7%, erano il 49,6% l’anno precedente). Le donne nel board erano 193, pari al 7,4% del totale dei consiglieri.

 

A cura di ETicaNews