2 luglio 2014 – La Csr è ammessa nella “stanza dei bottoni” delle grandi aziende? Solo se c’è chi la fa entrare. Ovvero se nell’organigramma aziendale è presente un Csr manager che “spinge” per portare le tematiche di sostenibilità all’attenzione dei vertici. È questa la conferma emersa dall’indagine “CdA e politiche di sostenibilità – Come sostenibilità e Csr entrano nell’agenda dei Board delle imprese quotate italiane”, realizzata da Altis e Csr Manager Network in collaborazione con Assonime e NedCommunity. Prima nel suo genere nel nostro Paese, la ricerca ha coinvolto 31 su 40 listate al Ftse-Mib, con due campioni di controllo: sette aziende quotate al Ftse-All share e dieci grandi non quotate.

I risultati dipingono un quadro di luci e ombre. La buona notizia è che la Csr è entrata a pieno titolo nel Cda, con un 70% del campione che ha stabilito la propria definizione di Csr e un 64,5% che ha comunicato l’impegno ambientale e sociale agli stakeholder. La cattiva, è che solo il 40% delle quotate ha integrato i temi socio-ambientali nel piano industriale. Ovvero, è passata dal dire al fare.

E, in questo caso, nemmeno la presenza di un Csr manager riesce a cambiare significativamente la situazione. L’eccezione che conferma la regola, visto che in tutti gli altri ambiti, anche se sarebbe improprio parlare di una rapporto di causa-effetto, il quadro generale fotografa un influsso virtuoso del Csr manager sulla strutturazione delle tematiche socio-ambientali. Con alcune voci eclatanti: nelle aziende con un professionista della sostenibilità (77,4% del campione Ftse-Mib), poco più della metà dei CdA ha ricevuto formazione sulla Csr e verifica periodicamente i progressi delle attività, cosa che non accade mai nelle aziende che non hanno una figura dedicata. Inoltre, sempre la metà delle aziende con un Csr manager considera i temi socio-ambientali nel mix di competenze ed esperienze rappresentate nell’ambito del CdA e un terzo di queste lega parte del compenso dei consiglieri esecutivi alle performance socio-ambientali. Infine, spesso il Csr manager è affiancato da comitati che sovrintendono le tematiche sociali (25% dei casi) o ambientali (16%), mentre tali comitati sono assenti laddove non è previsto un Csr manager.

Insomma, il ruolo dei “professionisti della responsabilità aziendale” esce rafforzato da questa survey, che ha sintetizzato quattro modelli di integrazione della Csr nella corporate governance: integrato collegiale (38,7%), dove il Cda si interessa dei temi di Csr, le competenze dei consiglieri vengono valutate ed è presente un Csr Manager; integrato con comitati (9,6%), in cui il Cda si interessa dei temi di Csr ma agisce attraverso comitati che interagiscono con il Csr Manager; orientato ai rischi (35,6%), quando il CdA si interessa ai temi della Csr solo per la gestione dei rischi, e c’è un Csr Manager; simulato (16,1%), dove il CdA si occupa della Csr solo come indirizzo strategico, senza verifica dei risultati, né Csr Manager.

“Sarà molto importante confrontare i dati emersi con un aggiornamento, magari fra un paio d’anni – ha commentato Mario Molteni, direttore di Altis -, per fornire un ulteriore indicatore dell’integrazione della sostenibilità nelle strategie aziendali. Infatti, fino a quando la Csr non varca la soglia del CdA, le politiche di sostenibilità restano confinate a un ruolo marginale”.

Emanuela Taverna

A cura di ETicaNews