4 marzo 2013 – Sulla carta è davvero uno di quegli incontri capaci di segnare il cambio di prospettiva. Il convegno in programma oggi e domani in Borsa Italiana, organizzato da International Corporate Governance Networg (Icgn), dal titolo Milan Conference and Connection Day, si presenta come un’opportunità di svolta importante. A renderlo significativo sono innanzi tutto le forze che chiama a raccolta. Ci sono i vertici di Borsa, Consob, Assogestioni e Assonime. Oltre a un ricco plotone di manager delle principali società quotate di Piazza Affari.

Soprattutto, è significativo per l’argomento che porta sotto i riflettori: la governance. Ancor più, nello specifico, le regole di governo dei diritti dell’azionariato, a partire da quello di minoranza, delle sue opportunità e capacità di azione (engagement). Si parlerà di quanto messo in campo (o previsto) in Europa, e di quanto messo in atto (o dei ritardi) dall’Italia.

Il fatto che un tale spiegamento di forze e di manager si ritrovi per affrontare questi temi significa avere sdoganato la questione-governance. Un concetto che a Milano e dintorni è stato fino a oggi vissuto – anzi, sopportato – con una certa supponenza, ritenendo questo genere di questioni un fattore di serie B nella vita quotidiana delle aziende. E del sistema. Salvo l’attività del regolatore (Consob) e del Comitato per l’autoregolazione di Borsa, è difficile vedere accendersi i riflettori su questioni regolamentative o normative che riguardano i paletti alla gestione. Queste cose, in Italia, scaldano gli animi – e i giornali – unicamente quando si tratta di parlare degli stipendi dei manager. O quando, per errori di governance, esplodono gli scandali.

Sarà dunque interessante osservare quanto apparirà sulla stampa di ciò che sarà affrontato nel convegno. Il timore è che, come accade spesso in queste occasioni, i media si accalcheranno sui “nomi” che fanno notizia, cercando di strappare qualche dichiarazione. Senza curarsi troppo dell’argomento complesso e cruciale che sta alla base delle cose.

Detto questo, cioè esposti i meriti potenziali dell’iniziativa, va però detto che il convegno di oggi è rimasto decisivo solo sulla carta. Ovvero, nonostante lo spiegamento di mezzi, l’impressione è che l’incontro rappresenti un’occasione perduta. In termini di messaggio. E dunque in termini di cambio di paradigma.

La cosa grave è che non c’è il minimo riferimento alla Corporate social responsibility. Nessun accenno emerge nelle tematiche affrontate dalle tavole rotonde. Nessuno dei manager invitati si occupa di sostenibilità (salvo la managing director corporate governance and responsible investment di Blackrock, la maggiore società di investimento al mondo). Non ci sono, tra i partecipanti, fondi che si definiscano “etici” o sostenibili o aderenti alla Finanza Sri.

Eppure, la governance – in particolare nelle sue accezioni di azionariato attivo, rappresentanza e tutela delle minorities in un’azienda – rappresenta probabilmente il più concreto anello di congiunzione tra la “vecchia” e la “nuova” finanza. Ossia, tra un modello di finanza d’antan che guarda ai fondamentali delle società per valutarne il valore. E un modello di finanza moderno che cerca oltre, nel grande universo dei valori intangibili, per cercare di definire con maggiore esattezza il volto di un’impresa. È attraverso la governance di un’azienda che, nella sostanza, si possono avere garanzie sulla responsabilità e sostenibilità sociale di un’azienda. È agendo sulle regole riguardanti i suoi investitori (la governance dei fondi) che si può agire per ottenere capacità di engagement, ma anche garanzia di rispetto del mandato affidato ai gestori che si dichiarano etici. Peraltro, la cosa assume oggi un rilievo particolare, visto che i fondi etici saranno esclusi dal pagamento della Tobin Tax.

Il castello della finanza tradizionale, insomma, ha aperto solo una feritoia. Per la Finanza Sri, in Italia, prosegue l’assedio. Se vorrà affrontare il tema, dovrà farlo in autonomia al di fuori del castello.

 

A cura di ETicaNews