29 aprile 2013 – Bisognerà attendere ancora perché la wikigovernance entri con forza nell’assemblea della Banca Popolare di Milano. Nell’attesissima assise di sabato alla Fiera di Milano i soci di Piazza Meda si sono espressi con decisione contro la modifica del regolamento (art.2 ) che avrebbe introdotto la possibilità di votare, oltre nelle sedi di collegamento previste per la partecipazione a distanza, anche da “remoto” tramite mezzi elettronici, quindi anche il pc di casa. La votazione è avvenuta con alzata di mano. «La Popolare di Milano non si può più permettere di fare assemblee come questa, questo sistema di raccolta di voti è terribile», ha commentato il presidente del consiglio di gestione Andrea Bonomi. E in effetti, per chi ha assistito, l’alzata di mano nella folta platea e la conta a grandi linee dei voti (salvo successiva registrazione ufficiale dei voti minoritari a controprova dell’esito maggioritario) hanno dato tutta la misura del gap anacronistico di certe modalità di voto ai tempi di internet.

In Piazza Meda però la situazione è più complessa. Il voto a distanza è stato travolto dal precipitare degli umori attorno al piano di trasformazione in Spa portato avanti dai vertici e attorno al quale è montata la preoccupazione da parte dei dipendenti (che sono molto spesso anche soci della banca) e delle sigle sindacali non convinti della bontà del progetto. Così se Bonomi ha assicurato che il voto telematico rappresenta «una semplice proposta di trasparenza al fine di favorire la partecipazione di tutti soci», il fronte dei dipendenti-soci ha temuto che fosse invece propedeutico a far passare nell’assemblea del prossimo giugno la controversa trasformazione societaria attraverso la diluizione del voto dei dipendenti, che storicamente affollano le assise della Banca popolare di Milano e ne influenzano significativamente gli esiti. Tensioni, dubbi e timori che non hanno favorito certo l’analisi sullo strumento in sé.

D’altra parte il voto telematico è un’assoluta novità anche per molte società quotate. Uno studio Assonime su un campione di società quotate su Borsa Italiana, pubblicato alla fine del 2012 e relativo alle assemblee 2011, ha rilevato che «solo il 30% delle società ha previsto nello statuto la possibilità di esercitare il voto a distanza (per corrispondenza o in via elettronica) o di partecipare all’assemblea con mezzi elettronici. In questi casi, lo statuto ha rimesso al consiglio d’amministrazione la decisione circa l’attivazione degli strumenti per le singole assemblee». Il voto elettronico è stato quello previsto dal maggior numero di società, seguito dalla partecipazione in assemblea con mezzi elettronici e per ultimo dal voto per corrispondenza. Tuttavia, lo studio ha rilevato anche che «dall’esperienza applicativa emerge che gli strumenti per il voto a distanza o per la partecipazione elettronica all’assemblea hanno avuto una modesta applicazione». Tra le società che li hanno previsti, solo il 23% li ha effettivamente usati. Tra l’altro, i casi di effettivo utilizzo riguardano solamente il voto per corrispondenza (possibile per tutte le società già dal 2003 al contrario del più recente voto telematico) mentre non sarebbero mai stati utilizzati né il voto elettronico né la partecipazione con mezzi elettronici. Si tratta di un’analisi che comunque dovrà essere confrontata almeno con i comportamenti della tornata assembleare 2012: la nuova disciplina dell’assemblea delle società quotate (modificata dal d.lgs. n. 27/2010 di attuazione della direttiva 2007/36/CE e che ha inciso profondamente sul funzionamento delle assemblee e introdotto nuovi diritti degli azionisti, rafforzandone le prerogative con l’obiettivo di valorizzare l’assise come momento di confronto con i manager) era applicabile dalle assemblee in cui avviso di convocazione fosse stato pubblicato dopo il 31 ottobre 2010 e, spiega Assonime, «le società potrebbero aver modificato gli statuti solo con l’assemblea del 2011».

Allo stesso tempo non mancano le perplessità di sostanza, relative ad alcuni problemi tecnici come l’identificazione del soggetto che ha diritto di voto e di fruizione del dibattito assembleare. E di forma: nel caso specifico della Bpm si è per esempio toccata con mano la confusione tra cosa può essere stabilito da regolamento e cosa deve passare dallo statuto. Così mentre il Consiglio di Gestione della Bpm in assemblea ribadiva che la modifica poteva passare semplicemente dal regolamento, sul tavolo del Consiglio di Sorveglianza della stessa banca era ormai arrivato da qualche giorno un parere legale che paventava il contrario, ossia la necessità di modificare lo statuto. Il che avrebbe richiesto un’assemblea straordinaria.

Eppure è proprio nelle banche popolari che il voto a distanza da remoto può assumere un significato rivoluzionario: in queste società la proprietà è frammentata in numerosissimi piccoli soci e ogni testa equivale a un voto, indipendentemente dalle azioni possedute. Soprattutto in una realtà come quella della Bpm, dove storicamente i dipendenti e le sigle sindacali hanno saputo coordinarsi e organizzarsi in modo da influenzare le scelte della banca, sebbene con in mano un pugno relativamente alto di voti se confrontato con tutti i soci. All’assemblea di sabato, per esempio, hanno votato circa 4.000 soci (in proprio o per delega) contro qualche decina di migliaia di soci totali (55.500 nel 2011). Forse per ottenere il voto a distanza sarà necessario che gli altri 50mila soci, se interessati, si rechino almeno una volta fisicamente in assemblea.

Elena Bonanni

 

A cura di ETicaNews