23 novembre 2012 – “Birra Peroni, sarà la tua birra sostenibile”. È l’impressione che resta andando a osservare i progressi in termini di Csr dell’azienda fondata nel 1846 a Vigevano. Lo scorso anno, il marchio appartenente dal 2003 al gruppo Sab Miller (multinazionale di origini sudafricane-statunitensi, secondo produttore mondiale di birra), aveva presentato il suo primo bilancio di sostenibilità. E qualche settimana fa ha presentato il secondo report sostenibile, nel quale emerge un aspetto estremamente innovativo. La redazione, spiega la nota metodologica, ha tenuto conto dei «primi risultati del progetto Csr Manager Network–Istat». Ovvero dell’iniziativa portata avanti dal team del professor Mario Molteni, che «intende identificare – si legge nel documento – i punti di convergenza tra i dati macroeconomici di benessere ecosostenibile elaborati dal Sistema Statistico Italiano (Istat) e le informazioni economiche, ambientali e sociali elaborate secondo lo standard internazionale GRIG3.1 contenute nei bilanci di sostenibilità delle imprese italiane». Si tratta di un tentativo senza precedenti in Europa, finalizzato a rendere comparabile ciò che finora non lo è stato. Ossia, di «creare protocolli di compilazione e calcolo comuni sui dati di sostenibilità per favorire la comparazione tra aziende e sviluppare, in futuro, un sistema di rilevamento statistico in grado di catturare i diversi aspetti del valore creato dall’attività economica, sociale e culturale anche a livello micro dalle imprese».
Va riconosciuto come questo coinvolgimento nella ricerca Csr manager network–Istat sia coerente con un’impostazione più ampia del marchio, sintetizzata nel concept “Per noi che crediamo nell’Italia” che accompagna il bilancio di sostenibilità 2011-12. Un layout giustificato dal fatto che Peroni «distribuisce – si legge nel documento, facendo riferimento a una ricerca commissionata a Ernst & Young – la maggior parte dei ricavi alle imprese del territorio, allo Stato e alle comunità locali in cui è inserita. Tutto ciò dipende dal fatto che la stragrande maggioranza degli acquisti di prodotti e servizi (circa il 90% sul totale) sono effettuati verso imprese e microimprese del tessuto economico italiano». Ma il concetto “crediamo nell’Italia” è sostenuto anche da una concreta attività di condivisione con gli stakeholder, «coinvolti formalmente in un processo di ascolto con lo scopo di verificarne l’opinione sulla coerenza delle attività svolte dall’azienda in linea con le 10 priorità per lo sviluppo sostenibile, e aver valutato, insieme a loro, possibili azioni di miglioramento per il futuro». Questo, in aggiunta alle attività di inclusione sociale o di promozione del consumo responsabile di alcol (interessante il Codice di autoregolamentazione della comunicazione).
L’azienda evidenzia poi risultati concreti e premianti sul fronte dei consumi e dell’ambiente. Tra questi: una riduzione del 7,4% del consumo idrico durante il processo di produzione (nel 2012 Birra Peroni ha utilizzato 840 milioni di litri di acqua in meno rispetto al 2006, più che in linea col target di ridurre del 37% il rapporto tra acqua ed ettolitri di birra prodotti nel periodo 2008-2015); il 97% dei rifiuti riciclati o riutilizzati; l’8% del fabbisogno interno di energia termica soddisfatto attraverso la produzione interna di biogas. Pure nel packaging e nella gestione dei rifiuti Birra Peroni è all’avanguardia. Oltre 1/3 dei componenti è tratta da materiali riciclati; l’80% della carta e del cartone delle confezioni; il 57% dell’alluminio delle lattine; il 72% del metallo dei tappi e il 67% del vetro delle bottiglie. Inoltre, dal 2009 al 2012, il birrificio ha progressivamente razionalizzato le rotte dei trasporti e migliorato la logistica, ponendo le vetrerie fornitrici di bottiglie a un massimo di 250 chilometri dagli impianti di riferimento. Così sono stati risparmiati oltre 372 mila litri di carburanti e abbattute di un milione di Kg le emissioni di CO2.
Sul fronte della governance si segnalano spunti positivi, ma forse anche le principali mancanze di Peroni. Senza dubbio innovativo, come detto, il confronto diretto (per quanto non continuativo) con gli stakeholder. Così come non comune è la definizione di linee guida per un corretto comportamento antitrust e anti-corruzione, e addirittura la definizione di una politica di gestione del whistleblowing, ossia della denuncia anonima di infrazioni al codice etico.
Qui iniziano le note “dolenti” (per quanto tra virgolette). Il codice etico rimane estraneo al bilancio di sostenibilità, e per la consultazione si viene rimandati a un indirizzo dove, peraltro, c’è un articolato modello di disciplina e controllo. Forse avrebbe giovato riportarne alcuni principi chiave e, soprattutto, i casi di applicazione o di mancato rispetto avvenuti nell’anno. Discorso simile per quanto alla trasparenza sul management. Manca la disclosure sulle remunerazioni, il che significa, oltre agli importi, anche i parametri di impegno e presenza, nonché le indicazioni dei premi ricevuti in base ai risultati raggiunti (specie, se risultati sostenibili).
Sempre in tema di management, stupisce che il bilancio venga presentato dal direttore delle relazioni esterne (e non da un Csr manager) e che i contatti rimandino ai corporate affairs e non a un team per la sostenibilità. Rimane il dubbio già espresso in occasione del primo bilancio di sostenibilità: è una birra italo-sostenibile, o la spinta responsabile rimane prevalentemente di targa estera?
A cura di ETicaNews