13 gennaio 2015 – Anno nuovo, nuova stagione delle assemblee degli azionisti per le società quotate italiane. Certo, gli Agm (annual general meeting) arriveranno, al solito, in primavera, ma chi ci deve lavorare lo sta già facendo. Fuori e dentro le società quotate.

Ad esempio, sono all’opera gli investitori socialmente responsabili (Sri) che presenteranno proprio agli Agm le loro resolution su temi sociali, ambientali e di governance (Esg). Negli Stati Uniti, dove gli ultimi dati di UsSif (Forum for Sustainable and Responsible Investment, come in Italia il Forum per la finanza sostenibile) dicono che adotta strategie Sri più di un dollaro ogni sei fra quelli gestiti da professionisti dell’investimento, il tema delle resolution è sempre caldo, prima e dopo la stagione delle assemblee, e crea dibattito anche fuori dalla community Sri. L’anno scorso, poi, è stato un anno record, con oltre 450 resolution, in particolare su argomenti come climate change, diritti umani, governance, spese delle corporation per attività di lobbying.

E in Italia? Chi presenterà Sri resolution nella prossima stagione? Nelle assemblee di quali società? Su quali temi? Sarebbe molto interessante avere risposte a queste domande, perché darebbero un’idea di ciò su cui l’anima più attiva della finanza sostenibile sta orientando la sua azione. Ma sono domande in larga misura destinate a restare senza risposta, o che addirittura ha poco senso porre da noi, poiché al di là di qualche caso anche importante siamo molto distanti dai livelli statunitensi. Le resolution e l’azionariato attivo degli investitori responsabili non sono ancora in grado di creare dibattito, di muovere l’opinione pubblica. Ma andiamo con ordine.

Il contesto è quello dell’engagement, vale a dire del dialogo tra investitori e società quotate su temi di sostenibilità finalizzato a stimolare le società a migliorare performance e comportamenti di business. La presentazione di una risoluzione durante l’Agm è considerata una pratica di hard engagement: su un determinato tema su cui una società, nonostante le richieste di apertura di dialogo e confronto (soft engagement), non ha dato precedentemente risposte o ha continuato a mettere in atto gli stessi comportamenti di sempre, si chiede in assemblea il voto degli azionisti. In modo che il management sia fortemente richiamato, se non proprio obbligato, a dar seguito ai risultati del voto, anche quando non li gradisce. E affinché quel tema abbia visibilità, per esempio, sui media.

Uno dei riferimenti principali negli Usa per quanto riguarda le shareholder resolution che provengono da azionisti Sri è il “solito” Iccr, il network di grandi investitori istituzionali, soprattutto di matrice religiosa, che promuovono l’investimento sostenibile e responsabile. Sul suo sito c’è l’elenco delle risoluzioni attive presentate da Iccr e dai suoi associati (nella “2014 Proxy Resolution and Voting Guide” se ne contano 193, in crescita dalle 180 dell’anno precedente). Per ogni risoluzione sono disponibili una quantità di informazioni: la contestualizzazione della tematica cui la resolution si riferisce, il testo della resolution vera e propria, l’elenco degli investitori che la promuovono. E si dice anche se la risoluzione è già stata presentata l’anno precedente e, in caso, che percentuale di voti favorevoli ha ottenuto: un dato fondamentale, questo, che sancisce il “successo” o il “fallimento” di una risoluzione, al di là del fatto che ottenga o meno la maggioranza dei voti, e la sua possibilità di essere riproposta negli anni (vedere, ad esempio, quella che solleva il tema della disclosure sulle spese per attività di lobbying in capo a Facebook).

Siccome Iccr ha una lunghissima esperienza in fatto di resolution – storica la prima risoluzione presentata nel 1971 all’assemblea niente meno che della General Motors, quando nel mirino c’era il Sudafrica dell’apartheid -, sul suo sito si possono anche trovare istruzioni dettagliate per chi volesse iniziare a muovere i primi passi nel mondo dello shareholder activism.

Un altro sito da tenere d’occhio è quello di As you sow, organizzazione non profit che opera nel campo dell’azionariato attivo su temi di sostenibilità. Anche sul suo sito sono disponibili molte informazioni sulle resolution (come quella che riguarda Monsanto). La sua “Proxy Preview”, inoltre, di cui la prossima edizione è attesa per marzo, è un altro report imperdibile per gli aficionados dell’attivismo Sri.

Ma non ci sono solo gli Usa, benché restino il benchmark. La Chiesa anglicana, per esempio, ha già annunciato che ha intenzione di presentare delle resolution agli Agm di Shell e Bp nel 2015 per chiedere loro conto delle strategie che stanno adottando per affrontare il climate change e per prepararsi a un’era di low carbon economy. Sempre in Uk c’è chi come ShareAction, altra non profit che promuove l’investimento Sri fra i fondi pensione (in precedenza si chiamava FairPensions), organizza programmi di formazione per aspiranti azionisti attivi.

Se poi qualcuno è curioso di toccare con mano, o almeno col mouse, cosa vuole dire hard engagement in concreto, cioè intervenire in assemblea per dire la propria, dal punto di vista dell’investitore sostenibile, su come una società viene gestita, il web pullula di video che lo fanno capire forse meglio di mille parole.

Torniamo ora in Italia. Da noi negli ultimi anni sono stati soprattutto Etica Sgr e la Fondazione culturale Responsabilità etica, entrambe del sistema Banca Etica, a tenere alta la bandiera dell’azionariato attivo. Nel senso che hanno preso a praticare attività di engagement, soft e hard, in modo regolare e strutturato su temi di sostenibilità.

Etica sgr, in particolare (con cui ETicaNews da tre anni collabora alla realizzazione dell’e-book “Una stagione fra i soci”, che racconta appunto le iniziative di azionariato attivo della società guidata da Alessandra Viscovi), l’anno scorso aveva tentato un esperimento interessante lanciando una consultazione che aveva permesso a clienti e utenti di indicare quali fossero i temi prioritari da promuovere con l’azionariato attivo. Come pure interessante è stata l’iniziativa avviata mesi fa da Assofondipensione e in particolare dal Fondo pensione Cometa, che ha rappresentato il primo tentativo di engagement collettivo in Italia.

Ma ciò che ancora e più di tutto manca nel nostro Paese fra gli investitori, istituzionali e retail, è una cultura dell’azionariato attivo. Una consapevolezza diffusa che l’investitore può giocare un ruolo fondamentale, specie se si coalizza con altri investitori, nello stimolare le società di cui è azionista verso pratiche, politiche, strategie più sostenibili.

C’è da credere che gli anni delle resolution sostenute da coalizioni di azionisti responsabili, che creano dibattito a volte ancor prima di andare in assemblea e soprattutto dopo essere state votate magari con percentuali a due cifre, arriveranno prima o poi anche da noi. Resta solo da capire quando.

Andrea Di Turi

A cura di ETicaNews