17 marzo 2014 – Sono ormai quasi mille le Benefit corporation nel mondo, suddivise in 32 Paesi e rappresentate in circa 60 settori produttivi. La maggior parte si concentra negli Stati Uniti, dove sono nate cinque anni fa e dove la legge è stata approvata in 20 Stati ed è in corso di approvazione in altre sedici. Molte stanno nascendo in America Latina, con forme più orientate al sociale e meno al business. Ma presto potrebbero diffondersi anche da noi. Il 2014 è l’anno del lancio delle B corp in Europa.

E’ questo il lavoro che sta conducendo B Lab che qualche mese fa ha fondato la filiale europea ad Amsterdam. Qui, di recente, si è svolta una riunione cui ha partecipato Eric Ezechieli, fondatore di Nativa, attualmente l’unica B corp certificata in Italia. Nativa è la “Powerhouse” di B Lab per lo sviluppo e la promozione, anche a livello legislativo, delle B Corporation in Italia.

Scopo della riunione era quello di mettere a punto la strategia per il lancio delle benefit corporation anche nei Paesi europei, Italia compresa. «Anche in Europa – spiega Ezechieli – è necessario far approvare una legislazione che introduca la forma giuridica delle benefit corporation, come hanno fatto negli Stati Uniti. Per le legge, lo scopo di una società è quello di massimizzare il profitto. Non è così per le B corp, dove il business prende in considerazione tutti gli stakeholder, non soltanto gli azionisti».

Infatti, se oggi un’impresa italiana, sia essa una coop o una spa o una srl, può certificarsi e diventare una B Corp, non può però essere una Benefit corporation perché questo status legale non esiste ancora.

Per diffondere questo nuovo modo di fare impresa, Nativa è in contatto con varie organizzazioni, tra cui le università Cattolica e Bocconi. Inoltre, Ezechieli sta creando un pool di una quindicina di aziende potenzialmente B corp per creare una founding class, un gruppo di pionieri che si uniscano per pressioni dal punto di vista legislativo. La definizione giuridica è importante, altrimenti una nuova impresa che volesse registrarsi alla Camera di Commercio con uno statuto ispirato ai princìpi delle B corp potrebbe incontrare difficoltà, così come le ha avute Nativa, il cui statuto è stato respinto cinque volte prima di essere approvato dalla Camera di Commercio di Milano.

«Il nostro obiettivo è di avere cento B corp in Europa e 15 in Italia – dice Ezechieli -. I contatti sono già avviati. Contiamo di raggiungere la massa critica entro la fine dell’anno. Così come hanno fatto negli Usa, non chiederemo che la normativa preveda sgravi fiscali per questo tipo di impresa, non riteniamo che sia un driver fondamentale. Le B corp non ne hanno bisogno. Sono un modello di business solido e nel lungo termine anche più redditizio. Dal 2008-2009 in poi le Benefit corporation hanno avuto performance di reddito superiori del 60% rispetto alle altre».

Ma chi può trasformarsi in una B corp? Per saperlo basta fare un test, il “Benefit impact assessment”, un questionario gratuito e che non comporta alcun impegno, che permette di auto valutarsi e che può anche essere utilizzato per valutare i fornitori. Il processo di valutazione analizza sia gli aspetti formali – atto costitutivo, compagine azionaria – sia quelli operativi dell’attività aziendale. Se l’azienda raggiunge un punteggio di minimo 80 punti su 200 può richiedere lo status di B Corp. Attualmente stanno sottoponendosi al test una quarantina di imprese italiane, a dimostrazione dell’interesse crescente verso questo nuovo modo di fare business.

«Nel mondo – sostiene Ezechieli – ci sono 200 milioni di aziende. Basterebbe che l’1% diventasse una B corp affinché, utilizzando la forza del business in maniera virtuosa, si possa provocare quel cambiamento che le altre realtà in crisi (governi, istituzioni, scuole) non riescono a suscitare».

Fausta Chiesa

A cura di ETicaNews