22 aprile 2013 – Italia avanguardia dell’innovazione nella collaborazione tra profit e non profit. Nella sperimentazione, cioè, di modelli che dotino l’economia e le imprese sociali – che anche con la crisi riescono brillantemente a stare sul mercato creando occupazione – delle risorse necessarie a sviluppare anche da noi il cosiddetto social business.

Questo balzo in avanti arriva grazie a un’iniziativa ideata da Fondazione Cariplo, Borsa Italiana e London Stock Exchange Group (Lseg) Foundation, la fondazione costituita nel 2010 dal gruppo borsistico per promuovere iniziative non profit nei Paesi in cui è presente (Italia, Regno Unito e Sri Lanka). E a detta degli stessi promotori pare non abbia eguali non solo in Europa ma addirittura nel mondo.

Si tratta dell’Ipo solidale, indirizzata a tutte le società che si quotano sul listino di Borsa. A queste società sarà proposto di dare il proprio sostegno, con una parte dei fondi raccolti nel collocamento, a un progetto di un’organizzazione non profit. Ma non a uno qualsiasi. Perché i progetti che troveranno posto nel catalogo, per dir così, che a ogni società in fase di Ipo verrà sottoposto, saranno infatti progetti vagliati e selezionati da Fondazione Cariplo e da Lseg Foundation, che inizieranno già a finanziarli con un primo contributo (di pari ammontare per ciascuna delle due fondazioni). Quando poi una società in fase di Ipo deciderà di aderire al programma, e quindi di dare il suo sostegno finanziario a un progetto, la Fondazione Cariplo donerà un ulteriore contributo di pari livello a quello della società (“matching fund”). Il che significa che l’adesione di una società in Ipo al programma farà da moltiplicatore delle risorse indirizzabili verso quel progetto.

Basta dare un’occhiata ai primi tre progetti selezionati, per i quali le due fondazioni hanno già stanziato alcune decine di migliaia di euro, per farsi un’idea dell’imprenditoria sociale di cui stiamo parlando. Uno riguarda il processo di internazionalizzazione di Cangiari, marchio italiano di moda etica di fascia alta della cooperativa sociale Goel. Il secondo è l’apertura di una catena di boutique dell’usato ad opera della cooperativa sociale Vesti Solidale, tra le realtà lombarde leader nella raccolta e riutilizzo di abiti usati. L’ultimo è un progetto di The Hub Milano che intende identificare in tutt’Europa le migliori esperienze di imprenditoria in campo culturale e aiutarle a replicarsi, partendo da uno scambio appunto tra Londra e Milano.

Si tratta dunque di progetti innovativi, dal potenziale di sviluppo elevato, che se finanziati possono continuare a espandersi. Progetti che non nascono con il semplice obiettivo di creare profitti per chi li avvia, ma che attraverso la capacità di creare profitto, e con una gestione di stampo assolutamente imprenditoriale, intendono in primo luogo ottenere un impatto sociale importante: creare occupazione, specie per i giovani; offrire opportunità di inclusione lavorativa e sociale a persone in stato di difficoltà; avere grande attenzione nella conduzione dell’attività agli aspetti etici e ai temi della sostenibilità.

Ipo solidale punta a sostenere 5-6 progetti grazie a un budget iniziale complessivo di 800mila euro, di cui 400mila già stanziati da Fondazione Cariplo. Borsa Italiana e Lseg Foundation hanno anche in programma la presentazione dell’iniziativa prossimamente a Londra, in una sorta di roadshow solidale.

Indubbiamente un punto di forza del modello è quello di aver individuato, ma si può anche dire creato, un nuovo canale di fundraising per chi opera nell’economia sociale, preziosissimo data la crescente scarsità di risorse pubbliche disponibili. Rispondendo allo stesso tempo al desiderio sempre più diffuso nel mondo profit, in questo caso in quello della finanza, di trovare modi concreti per esprimere un’attenzione al sociale e contribuire a dare risposta alle tante problematiche acuitesi con la crisi. Forse ancora più importante, però, è il fatto di aver gettato un ponte attraverso il quale profit e non profit possono entrare in contatto, parlarsi, conoscersi, contaminarsi. E magari trovare il modo di rendere profonda e duratura nel tempo la loro relazione.

In prospettiva, Ipo solidale è un acceleratore di cambiamento culturale, che prova a ridurre la distanza concettuale tra profit e non profit guardando non ai loro elementi di distinzione bensì a quello che può unirli. La chiave per farlo è appunto quella del social business: fare impresa, sì, ma ponendosi l’obiettivo prioritario di avere un impatto sociale. E soprattutto guardando al profitto come a un vincolo, che è indispensabile rispettare se si intende almeno tentare di camminare con le proprie gambe, e alla creazione di valore economico come fonte di risorse da reinvestire per sviluppare l’attività. Per accrescere, insomma, l’impatto potenziale.

Forse è presto per dire se Ipo solidale potrà aprire la strada verso quella Borsa sociale di cui da diversi anni si parla anche in Italia. Ma sembra quanto meno un primo mattone su cui si può provare a edificare qualcosa di ancora più importante.

Andrea Di Turi @andytuit

 

A cura di ETicaNews