Esempio UK: 68.000 imprese occupano un milione di persone

L’innovazione e l’impresa sociale come ricetta prioritaria per rilanciare il mercato del lavoro italiano. E’ questa una delle proposte emerse con forza dal Salone della Csr e dell’Innovazione sociale che si è tenuto nei primi giorni di ottobre presso l’università Bocconi, durante la tavola rotonda organizzata da ItaliaCamp Lombardia (sede territoriale dell’associazione ItaliaCamp che promuove e sostiene l’innovazione sociale e lo sviluppo di nuove risposte a domande reali, lavorando per colmare la distanza tra la nascita di un’idea e la sua realizzazione), che ha riunito un panel di esponenti provenienti da diversi settori della società, dalla politica all’imprenditoria, dal giornalismo alle istituzioni europee.
La riflessione nasce dall’idea che, nella sua attuale conformazione, il mercato del lavoro non sembra in grado di fermare quell’emorragia che ha portato il tasso di disoccupazione stabilmente al 12 per cento. E che sia quindi necessario un cambio di paradigma economico e sociale. Ma cos’è l’innovazione sociale? Di questo concetto non esiste una definizione univoca ma, espressa in termini generali, l’innovazione sociale è qualsiasi innovazione che produce un beneficio sulla società. La difficoltà che si trova nell’individuare una definizione di questa espressione dipende anche dal fatto che in Italia non esiste un dibattito strutturato al riguardo. Questa assenza è legata anche alla difficoltà del mondo dell’informazione di portare il tema all’attenzione della società. Nel mondo del giornalismo, spiega Fabio Savelli, firma economica del Corriere della Sera, «è difficile portare i temi dell’innovazione e raccontare le cose in modo diverso». Riportando la propria esperienza personale, Savelli sottolinea che nell’intero giornale, su 350 colleghi solo 5-6 sono intorno ai 30 anni, e anche gli spazi messi a disposizione sul quotidiano sono pressoché sempre occupati da temi di politica economica e di finanza pura. Al netto della difficoltà di avviare un dibattito pubblico sulle opportunità dell’innovazione sociale, resta comunque l’esigenza di rinnovare l’attuale modello del mercato del lavoro.
Il primo spunto giunto dalla Tavola Rotonda è che questa esigenza comporta però anche la necessità di ripensare i processi produttivi. Lo scopo deve essere quello di valorizzare la centralità dell’impresa come generatrice non solo di ricchezza, ma anche di coesione sociale. «Concretamente vuol dire lavorare sull’innovazione, sulla ricerca e sul valore delle persone per avviare processi produttivi che tengano conto non soltanto del bilancio, ma anche del fatto che la crescita delle imprese e del Paese deve essere sostenibile nel lungo periodo», ha affermato Antonio Calabrò, membro del Comitato di Presidenza di Assolombarda, definendo «folle» un sistema produttivo schiacciato sul breve termine e i cui tempi siano scanditi dai soli risultati delle trimestrali. Per Fabrizio Sala, sottosegretario alla Presidenza con delega a Expo 2015 e Internazionalizzazione delle Imprese della Regione Lombardia, l’Esposizione Universale del 2015 a Milano, potrebbe rappresentare per l’Italia una grande opportunità per rilanciare il mercato occupazionale attraverso gli investimenti esteri.
Un’opportunità che però presenta, come noto, il limite evidente di una macchina statale che non crea un contesto favorevole all’impresa e al lavoro. E che costituisce il principale leit motiv delle lamentele degli investitori stranieri con cui Sala si confronta. «Mi sento spesso dire – racconta Sala – che gli investimenti in Italia trovano tre grandi ostacoli: fisco, burocrazia e una magistratura troppo lenta nei processi civili». In attesa di una rivoluzione dell’apparato statale che risolva questo problema – sulla quale forse è meglio non scommettere – il ruolo dell’innovazione e dell’impresa sociale assume sempre più rilevanza. Da questo punto di vista è importante l’esperienza della Gran Bretagna descritta da Marco Zappalorto, Development Manager di Nesta UK, associazione indipendente la cui mission è aiutare le persone e le organizzazioni a dare vita alle grandi idee: a Downing Street il governo supporta da circa 15 anni le spinte innovative da parte della società, con il risultato che, ad oggi, nel Paese esistono 68.000 imprese sociali, per un indotto di 2,4 miliardi di sterline e un milione di posti di lavoro.
E dire che l’Italia ha tutte le caratteristiche per fare bene in questo settore: nella prima edizione del Social innovation competition, organizzata l’anno scorso dall’Unione Europea, sui 605 progetti presentati ben il 27% era di provenienza italiana. «In Italia ci sono molte iniziative interessanti, quello che manca è il supporto pubblico», sentenzia Zappalorto.

A cura di ETica News