9 settembre 2013 – Il 2 di settembre, la rivista Valori ha lanciato un appello alla trasparenza. Non uno dei soliti appelli alle imprese a essere più chiare sulle proprie strategie per agevolare risparmiatori e mercato. Bensì, un appello coraggioso indirizzato proprio a quella parte del business che si frangia della medaglia di essere responsabile e sostenibile. In altre parole, in controluce è un attacco all’uso improprio – e nel caso italiano, maldestro, per i risultati sinora ottenuti – dei concetti di corporate social responsibility (Csr) e sustainable & responsible investing (Sri). Un uso improprio che parte dalla stesura dei bilanci di sostenibilità e finisce nella loro certificazione. Un uso improprio che, appunto, potrebbe essere cancellato a colpi di maggiore trasparenza.

L’appello di Valori fa un esplicito riferimento a un nodo delicato: quello degli indici etici o di sostenibilità, verso i quali ETicaNews ha già più volte sollevato dubbi di atteggiamento. Ma il problema appare assai più vasto. Il problema della trasparenza ha radici profonde che originano nella complessità di inventare una reportistica per i temi della Csr. Nella scienza della contabilità aziendale, l’inseguimento della formula per contabilizzare gli intangibles ha condannato generazioni di studiosi e di istituzioni a darsi convenzioni via via superate. E questa ricerca era imperativa perché in ballo c’erano valori intangibili, ma comunque con un valore di realizzazione potenzialmente miliardario come potevano essere i brevetti o il valore di un marchio. Figurarsi gli intangibles della Csr: è assai più difficile pensare che qualcuno si compri un buon clima aziendale!

Questa settimana, ETicaNews ha pubblicato un articolo sull’esperimento condotto da Terna nel proprio bilancio sociale: mettere a confronto le proprie performance su alcuni parametri di sostenibilità con un panel di aziende competitor e di appartenenti al FtseMib. L’articolo ha suscitato un circoscritto ma interessante dibattito sull’utilità di mettere in comparazione informazioni (consumo di acqua, produzione di C02, rifiuti) che assumono rilievo assai differente a seconda della tipologia di business dell’azienda considerata. Il dubbio è ragionevole. Tuttavia, l’esperimento ha considerato anche parametri assolutamente confrontabili. E, soprattutto, il significato che va enfatizzato dell’esperimento è di natura culturale. Per la prima volta, dall’interno del sistema, c’è un soggetto che si prende la responsabilità di mettere i numeri uno a fianco all’altro. I propri e quelli degli altri (o almeno quelli che tali risultano).

Un tale approccio culturale – quello del confronto – appare molto distante da quello abituale italiano. E costringe a un salto di gradino in termini di trasparenza. Fino a oggi la qualità sostenibile di una società si basava sui dati forniti dall’azienda, poi vidimati da un certificatore e quindi ratificati da un rating etico. Le ‘sterminate’ praterie del confronto, viceversa, spostano l’onore del giudizio sugli stakeholder.

Dunque, come si arriva a questo balzo culturale?

L’impressione è che ci siamo molto da fare all’interno del mondo aziendale. E che ci sia anche più da fare al suo esterno, ovvero nella capacità di analisi in primo luogo della stampa.

In merito alla situazione interna al mondo aziendale, ETicaNews ha pubblicato questa settimana la prima puntata di un’inchiesta sulla formazione scolastica offerta in Italia in termini di Csr. I risultati, sin dal primo approfondimento, evidenziano parecchie ombre. E non tutte svaniranno nel prosieguo. L’impressione è che non solo non ci sia un’offerta all’altezza da parte del mondo universitario. Bensì, che non ci sia nemmeno una domanda all’altezza da parte del mondo imprenditoriale. Il risultato di questa equazione è: profondità d’informazione ridotta al minimo. Uguale: è sufficiente il livello attuale di trasparenza.

Lo stesso gioco del cane che si morde la coda pare valga per il mondo del giornalismo. Il quale accusa le aziende di non comunicare bene la Csr. Mentre queste ultime accusano i giornalisti di nulla comprendere di Csr. Col risultato che nelle redazioni dei grandi giornali nessuno ha mai preso in mano un bilancio di sostenibilità. Figurarsi quale capacità ci possa essere di ragionare sul valore dei numeri. Come in precedenza, l’equazione porta al risultato: profondità d’informazione ridotta al minimo. Uguale: è sufficiente il livello attuale di trasparenza.

Anche su questo frangente ETicaNews non è rimasta e non rimarrà con le mani in mano. Ha già denunciato più volte la sconcertante lontananza del giornalismo finanziario italiano da certe tematiche. E cercherà di riportare la questione sotto i riflettori in occasione della prossima Settimana Sri, all’interno della quale organizzerà un convegno sulla “Comunicazione Sri, frontiera sostenibile?”.

Insomma, non solo ETicaNews sostiene l’appello di Valori. Ma si è già battuta per esso. E continuerà a farlo.

Magari, con il piacere di avere al nostro fianco, sul palco del convegno, proprio i giornalisti di Valori.

 

A cura di ETicaNews