23 ottobre 2012 – Quella del Csr manager non solo è una professione. Ma è una professione in crescita, forse tra le poche in cui c’è spazio per una scommessa da parte delle aziende in termini di carriera e stipendio, e di ricerca di persone. Con una particolare propensione al colore rosa. Se si attendevano risposte dalla ricerca “La professione della Csr in Italia” presentata ieri – realizzata da Csr Manager Network e promossa da Altis (Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica di Milano) e Isvi (Istituto per i valori d’impresa) – ebbene sono arrivate in modo piuttosto chiaro. Lo ha sottolineato il presidente del Network Fulvio Rossi: «Partiamo da questo passo obbligato con l’identità di una professione sempre più presente e autorevole». Lo hanno ribadito il professor Mario Molteni (direttore del Network) e il curatore Matteo Pedrini, il quale ha anche annunciato che l’osservatorio punta ad avere una cadenza biennale. Soprattutto, che la ricerca abbia fornito risposte concrete lo spiegano i numeri della professione (scarica il documento della sequenza Twitter), cresciuta dai 90 professionisti rilevati nella prima ricerca, nel 2006, agli attuali 327. Un «numero che non è esaustivo», spiegano i curatori dello studio, in quanto l’ambito di applicazione dell’indagine non è stato “universale”, essendosi concentrato sulle aziende quotate (tutte), e sulla rete raggiungibile dal Network. Ma che è senza dubbio emblematico del trend. La tendenza a imporsi come un’attività specifica e delineata nella struttura aziendale emerge anche – e forse con maggiore evidenza – entrando nel merito dei trattamenti (remunerazioni) e delle responsabilità (budget e squadre gestiti) dei campione di soggetti analizzato: oltre ai manager, anche i loro collaboratori e (seppure ambito ancora meno esplorabile) i consulenti.

Insomma, lo studio del Csr Manager Network ha dato indicazioni importanti al confronto tra le due scuole di pensiero enunciate nell’incipit dagli stessi curatori: tra chi considera la professione Csr un’attività pro tempore (quasi un adeguarsi alla moda) e chi la considera un’evoluzione strutturale. Certo, si tratta di un ambito ancora piuttosto giovane, per il quale, per esempio, «non esiste ancora oggi un percorso chiaro che permetta di costruire un percorso di carriera» univoco e identificato, così come le sue attività risultano ancora «alquanto articolate anche in natura delle attività gestite». Detto questo, cominciano a delinearsi tratti distintivi chiari e con elevato potenziale.

Per comprendere la portata strategica assunta dalla Csr è sufficiente considerare il peso del manager “sostenibile”. Questo dirigente inizia a essere ricercato sul mercato da parte delle imprese: il 30% proviene dall’esterno dell’azienda, una percentuale ancora inferiore a quella di altre mansioni, ma che indica l’esistenza di una domanda che va consolidandosi, e che l’osservatorio di sei anni fa non aveva rilevato. Anche perché questo manager viene pagato come tale: «Non rappresenta un ripiego – si legge nell’analisi – rispetto alle carriere nelle più tradizionali funzioni aziendali, come evidenziato dalle retribuzioni annuali lorde e variabili dei professionisti». I responsabili della sostenibilità, infatti, raggiungono nel 45,9% dei casi il livello di dirigente, nel 43% dei casi si occupano solo di Csr e hanno retribuzioni annuali lorde che si attestano attorno ai 79.000 euro, anche se in una quota significativa sono superiori ai 120.000 euro (22,6%). Quasi il 60% guadagna oltre i 70mila euro. E beneficiano inoltre di una quota di retribuzione variabile legata agli obiettivi pari al 15,7 per cento.

Anche l’esistenza delle risorse in gestione ne rileva l’influenza. È pur vero che c’è una forte concentrazione dei professionisti Csr in aziende di una certa dimensione (il 58,6% lavora in azienda con oltre mille dipendenti). In ogni caso, il manager gestisce un budget mediamente attorno ai 200.000 euro, con punte osservate attorno ai 950.000 euro, e coordina squadre in media composte da 3,9 persone. «Sebbene si tratti dunque di unità organizzative sufficientemente snelle – si legge nella ricerca – per condurre adeguatamente l’integrazione delle politiche di sostenibilità in azienda, i responsabili della Csr dispongono di significative risorse, segno dell’importanza che le aziende riconoscono agli aspetti sociali e ambientali».

La ricerca entra poi nel dettaglio del livello formativo, dell’età, della tipologia di risorse umane gestite. «L’attività di raccolta dati – commentano gli autori – ha permesso di sviluppare un significativo database che, per la ricchezza delle informazioni raccolte, offre la possibilità di effettuare varie interrogazioni e chiavi di lettura. Per rendere comunque fruibile il presente rapporto si è deciso di commentare esclusivamente le informazioni giudicate più significative». E tuttavia, viene segnalato che «un’appendice che include la distribuzione delle differenti variabili in funzione delle fasce di retribuzione annuale lorda dichiarate dai professionisti della Csr. In tale modo, chi fosse interessato potrà meglio comprendere come le retribuzioni varino a seconda del settore di impiego, dell’età lavorativa, dell’esperienza nella Csr, delle responsabilità dirette del CSR manager e così via».

 

A cura di ETicaNews