10 maggio 2013 – Nelle decine e decine di convegni, seminari, incontri su temi economici che si tengono ogni giorno in tutta Italia, ce ne sono alcuni che si svolgono senza troppo clamore ma che per prestigio degli organizzatori e soprattutto per i contenuti espressi costituiscono delle perle che non andrebbero perse. E’ il caso del secondo appuntamento per il ciclo Il Mip si racconta che si è tenuto ieri presso il Campus Bovisa del Politecnico di Milano, dal titolo “A chi serve la governance’”. Una sorta di lectio magistralis offerta da uno dei fondatori del Dipartimento di Ingegneria Gestionale, il professore Francesco Brioschi.

Introdotto da Gianluca Spina, il docente di Assetti proprietari e governance di impresa, ha offerto con un linguaggio fresco e divulgativo, un vero e proprio distillato del tema del suo corso. Iniziata la sua carriera al Politecnico come professore di materie tecniche quali elettrotecnica, controlli automatici e ricerca operativa, ha progressivamente unito alle competenze ingegneristiche in continua affinazione una specializzazione in finanza ed economia, arrivando appunto ad essere uno degli uomini di punta del dipartimento di Ingegneria Gestionale (insieme ai professori Armando Brandolese, Adriano de Maio, Salvatore Baldone, Umberto Bertelè), ormai da anni fiore all’occhiello del Politecnico di Milano. Una carriera l’ha portato a essere uno dei maggiori esperti in Italia di governance delle imprese, oggi arricchita dalla scelta di fare anche l’editore.

“Una cattiva governance, legata anche ad abusi non sanzionabili, non solo nuoce alle imprese ma anche a tutta l’economia del Paese” esordisce nella lezione facendo subito capire alla platea l’importanza e l’attualità del tema del suo intervento.

Citando la legge di Parkinson del 1964, Brioschi introduce il concetto che deve esserci scetticismo sul concetto (e il fatto) che i manager facciano l’interesse dei proprietari. Ed è proprio su questo scetticismo che si basa l’importanza del tema della governance. Non è un caso che gravi problemi di una corretta gestione aziendale continuano a esistere nonostante la crisi duri ormai da molto tempo, con danno non soltanto per i risultati delle imprese ma anche per l’ntero sistema economico. Uno dei motivi principali è proprio la scarsa attenzione che le regole e le pratiche di governance hanno per i diversi assetti finanziari e proprietari.

Esiste infatti una pericolosa anomalia a livello formativo e normativo, che porta a un peggioramento della situazione in Italia. Il tema della governance, definito dalla cultura anglosassone come le corrette norme e regole adatte a impresa ad azionariato diffuso (tipico delle aziende quotate in Usa e Uk), mal si adatta a imprese con controllo certo o di fatto, tipico della nostra realtà. Ma quali sono gli aspetti cruciali della governance? Brioschi ne sottolinea due. Il primo è la qualità complessiva dell’azione manageriale. Il secondo riguarda gli abusi del ceo e degli alti dirigenti definiti come atti che vanno a favore del ceo stesso o del soggetto controllante che lo ha eletto contro l interesse di tutti gli azionisti. I due aspetti interagiscono. Spesso le cattive pratiche di governance non rimangono circoscrtitte al singolo abuso ma hanno effetti moltiplicatori negativi per l’andamento complessivo dell’impresa.

Per definire gli abusi bisogna avere un termine di riferimento che in questo caso è dato dagli obiettivi dell’impresa. Ma obiettivi di chi in realtà? Su questo tema non c’è uniformità di vedute. Per il modello liberista, più anglosassone, sono gli shareholder, mentre per quello dell’economia sociale di mercato sono quelli di tutti gli stakeholder. Ed è in quest’ultimo ambito che ha un ruolo centrale la Corporate social responsability.

In teoria la differenza è sostanziale ma essa è scarsamente riscontrabile nei comportamenti oggettivi. Tutte le imprese hanno una forte attenzione al livello del profitto da apportare all’attività di csr. Le deviazioni da questo comportamento sono gli abusi del ceo e/o del soggetto controllante. Più in generale è come se per l’impresa ci fosse un costo fisso per soddisfare gli stakeholder, e per il resto si punta a massimizzare il profitto.

La lezione di Brioschi centra dunque un problema tipico del sistema italiano. Dato che un ceo di una società ad azionariato diffuso ha un potere limitato nel tempo, gli abusi sono limitati. Chi invece sa di essere intoccabile, o quasi, è invece più opportunista. E in Italia, a cominciare in Piazza Affari, le pubblic company sono una vera e propria rarità. C’è ancora molto da fare.

Quali soluzioni? Brioschi la indica nella “Teoria dell’agenzia”, intesa come aderenza tra i comportamenti effettivi e quelli che massimizzano il profitto per l’impresa. Bisogna combattere l’opportunismo, il moral hazard, che sfrutta l’asimmetria informativa, l’incertezza generale. Certo, l’allineamento tra comportamento dei manager e interessi degli stakeholder rappresenta un costo. Ma il risultato è un’impresa che raggiunge i suoi obiettivi, anche di csr, e di conseguenza un sistema economico più sano. Una lezione per tutta l’economia italiana.

Fabrizio Guidoni

 

A cura di ETicaNews