22 luglio 2013 – Stanchi, insoddisfatti e poco efficienti. Quello che fino a oggi è stato uno stereotipo, comincia a essere quantificato attraverso le prime analisi sul benessere organizzativo dei dipendenti della pubblica amministrazione. Nell’ambito degli strumenti messi a disposizione dai numerosi passaggi legislativi e regolamentari degli ultimi anni, nelle scorse settimane l’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) ha reso pubblico un prezioso documento, “Rilevazione del benessere organizzativo”, che conferma, purtroppo, i luoghi comuni sull’universo del dipendente pubblico: scarsa considerazione del merito, completa sconnessione dell’individuo dal sistema di valutazione, di programmazione, di sviluppo. Un documento che, tuttavia, mette anche le basi per riuscire, finalmente, a risolverli, questi stereotipi.

UN LUNGO PERCORSO

Il percorso verso una maggiore efficienza del settore pubblico è stato avviato dal Legislatore con una serie di provvedimenti e, in tempi recenti, la prima volta tra i criteri di valutazione della PA è stata introdotta anche la dimensione del “benessere organizzativo” dei dipendenti. Il primo passo in questa direzione risale al 2004 con l’approvazione della “direttiva del ministro della Funzione pubblica sulle misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle pubbliche amministrazioni”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale (nr. 80 del 5 aprile 2004).

Con questo documento veniva espressamente richiesto ai vari enti pubblici del territorio nazionale di prendere in considerazione possibili provvedimenti finalizzati a incentivare il benessere organizzativo dei propri dipendenti. Occorre attendere tuttavia tempi più recenti per vedere la traduzione nella pratica quotidiana dei principi della direttiva: nel 2009 ci si rende conto che la “soddisfazione” deve essere infatti “misurata” con un sistema di indagine periodico. Un passo in questa direzione viene compiuto con l’istituzione della “Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche” (Civit) con il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150 (si tratta del decreto di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni). Ma l’istituzione di una Commissione da sola non basta per raggiungere lo scopo prefisso: questa a sua volta deve fornire dei modelli specifici di indagine ad un Organismo indipendente di valutazione della performance che deve curare annualmente la realizzazione di indagini sul personale dipendente.

Finalmente, con il decreto del 2009 appare chiaro e ben delimitato l’oggetto dell’indagine: si tratta infatti non solo del livello di benessere organizzativo in senso generale, ma più specificatamente del grado di condivisione del sistema di misurazione e della valutazione del superiore gerarchico da parte del personale. Insomma, il grado di benessere deve essere espresso dalla struttura stessa e sulla struttura gerarchica stessa.

I PRIMI RISULTATI

Nonostante le inevitabili difficoltà nell’effettuare il monitoraggio del benessere organizzativo, in tempi recenti alcune amministrazioni pubbliche hanno concluso e divulgati presso l’opinione pubblica interessanti indagini. L’Enea, appunto, ha reso noto, nel corso della “Giornata della trasparenza”, l’esito della prima indagine condotta tra i suoi dipendenti attraverso un report ampio e ben organizzato nella suddivisione in aree.

Ci sono margini di miglioramento, ma l’operazione ha comunque raccolto 1.081 questionari “validi” a fronte di 2.656 soggetti interpellati, con un tasso di risposta pari al 40,7% degli intervistati. È interessante rilevare come «i colleghi più anziani – si legge nel documento – abbiano fatto registrare una partecipazione nettamente inferiore rispetto alla media (solo il 28% dei dipendenti con più di 60 anni e il 34% di quelli tra i 51 ed i 60, a fronte di un tasso di risposta generale superiore al 40%)». Evidentemente, c’è un progressivo distacco anche emotivo all’organizzazione con l’alzarsi dell’età, «contrapposto ad un maggiore interessamento e ottimismo da parte dei dipendenti più giovani, comportamento che trova un deciso riscontro nei risultati riferiti a tutti gli ambiti della presente rilevazione, anche in termini di fiducia ed adesione ai valori dell’Agenzia». Nella stessa chiave, per quanto con toni assai più preoccupanti, si può leggere la distinzione per tipologia (e blindatura) del contratto di assunzione: «I dipendenti a tempo determinato si sono distinti, rispetto a quelli a tempo indeterminato, per il loro contributo, con oltre il 60% di adesioni».

In termini di risultati, sono ben sintetizzati nel grafico di pagina 10. Come anticipato, sono evidenti i punti di grande debolezza. «Emerge la criticità – scrive il report – dell’intera area relativa al grado di condivisione del sistema di valutazione, segno di una carente informazione, a tutti i livelli, su quali siano gli obiettivi, le strategie ed i risultati dell’amministrazione, nonché il contributo del lavoro del singolo dipendente al raggiungimento di tali obiettivi». Insomma, c’è una completa sconnessione tra l’individuo e il sistema. Come se i dipendenti fossero inghiottiti dal Leviatano burocratico.

Cosa che si riflette anche in una evidente crisi di meritocrazia. È grave, infatti, che per quanto riguarda la carriera e lo sviluppo professionale, «emerga una percepita mancanza di chiarezza nella definizione del percorso di sviluppo professionale del singolo, nonché la percezione che la possibilità di fare carriera non sia legata al merito».

A fronte di numerosi motivi di malcontento, tuttavia, i dipendenti hanno indicato anche aree caratterizzate da un elevato livello globale di soddisfazione. Per esempio, c’è «una scarsa percezione del problema discriminazioni»; vengono riconosciuti il grado di autonomia e il senso di realizzazione personale; c’è una diffusa percezione di sicurezza sul posto di lavoro.

Rosaria Barrile

 

A cura di ETicaNews