14 ottobre 2014 – Anche la Francia ha scritto le regole dell’equity crowdfunding, che può ora partire: il percorso era iniziato nel 2013 e il primo ottobre di quest’anno si è concretizzato con l’entrata in vigore delle linee guida pubblicate dal governo francese nel decreto Le financement participatif sous forme de titres financiers. Il testo, che era stato divulgato in primavera, è stato sottoposto a una consultazione pubblica che ha portato alla definizione di un quadro normativo. L’obiettivo finale è non solo quello di fornire un nuovo canale di investimento alle startup e Pmi francesi, ma anche di assicurare la tutela del consumatore.
Il testo è stato definito nelle scorse settimane, sull’onda della spinta fornita in particolar modo da Fleur Pellerin, attuale ministro della Cultura e della Comunicazione (in precedenza ministro delegato all’Economia digitale e sottosegretario al Commercio estero), forte sostenitrice del finanziamento collettivo. Nei mesi scorsi Pellerin aveva annunciato di volere fare della Francia “l’Eldorado del crowdfunding“.
L’impianto normativo può essere letto come un po’ barocco, viste le differenze specificate tra le diverse piattaforme, ma contiene un notevole snellimento relativo alle soglie di ingresso e alle responsabilità facenti capo ai diversi tipi di piattaforme. Le regole sono descritte in un documento semplificativo pubblicato da Acpr Banque de France, che è il corrispondente della nostra Bankitalia, e dall’Autorité des Marchés Financiers (Amf), l’omologa della Consob.
Al momento, la Francia deve fare i conti con una normativa definita da più parti stringente, che suddivide gli attori del settore in tre categorie.
Una prima tipologia è quella dei portali che, si legge nel documento, consentono la «sottoscrizione di titoli emessi da società non quotate e devono essere registrati presso Orias (Registre unique des intermédiaires en assurance, banque et finance, l’equivalente del registro degli intermediari fianziari tenuto da Consob) come “Conseiller de investissemt participatif” (Cip)», ossia “advisor in equity crowdfunding”. Queste piattaforme possono optare anche per lo status di “Prestataire en services d’investissement” o Psi, cioè fornitore di servizi di investimento, ed essere, in questo caso, approvate dall’Acpr. Le Cip sono regolate dall’Amf, mentre le Psi cogiuntamente dall’Amf e l’Acpr.
«Abbiamo deciso di mettere in relazione l’attività di gestore di piattaforma di crowdfunding e quella di consulente», ha detto Natalie Lemaire, direttore delle relazioni con gli investitori presso l’Amf in un’intervista rilasciata a Tout sur les placements in cui spiega la differenza tra Cip e Psi. In sostanza i Cip non hanno vincoli di capitale proprio, ma la loro azione è limitata alla proposta di titoli “semplici” (azioni ordinarie od obbligazioni a tasso fisso) e il loro raggio d’azione è confinato all’interno dei limiti nazionali. Il Cip non può detenere fondi o titoli del cliente. Le piattaforme Psi, invece, devono avere un capitale minimo di 50mila euro, possono detenere fondi o titoli dei clienti e hanno un “passaporto” per fornire i propri servizi di investimento all’interno della zona euro.
Un’altra tipologia di piattaforma è quella che offre il finanziamento sotto forma di prestito con o senza interessi e in questo caso deve essere registrato presso Orias come intermediario in finanziamento partecipativo (Ifp).
Se la piattaforma è solo “donation based” non è necessario che sia registrata presso Orias, ma, nel caso in cui decidesse di registrarsi come Ifp è tenuta a conformarsi a tutte le regole previste per questa categoria.
Nelle prossime settimane, l’Amf pubblicherà una guida per gli investitori che specificherà limiti e possibilità del finanziamento in equity crowdfunding. Nel frattempo ci sono già dei paletti che tutti gli attori del settore sono tenuti a rispettare.
In primo luogo, gli operatori delle piattaforme, oltre a dover soddisfare i requisiti di responsabilità e onorabilità previsti dalla legge, devono vantare nel curriculum esperienze pregresse in ambito finanziario, sono tenuti a descrivere la loro azione, effettuare un sondaggio sugli investitori ed effettuare uno screening delle startup e Pmi che vogliono accedere al finanziamento. Oltre a ciò devono presentare con trasparenza i rischi e le tariffe applicate agli investitori.
Le aziende e le startup che vogliono accedere al finanziamento tramite crowdfunding devono dare una descrizione dettagliata del loro ambito di appartenenza. Il limite di raccolta per le imprese è di un milione di euro (inizialmente si era pensato di estendere la raccolta a cinque milioni).
Per quanto riguarda i finanziatori, ossia la categoria più a rischio secondo quanto disposto dalla normativa, è compito delle piattaforme assicurarsi che questi ultimi siano consapevoli del rischio insito in tali investimenti, abbiano sufficiente capitale per sostenere il margine temporale cui vanno incontro e che siano informati sulla possibilità che l’investimento si concluda con una perdita di denaro. Questo avviene tramite appositi questionari che gli investitori devono compilare. La responsabilità della piattaforma entra in azione nel momento in cui accetta del denaro da un investitore che non risponde ai requisiti richiesti.
Raffaela Ulgheri
A cura di ETicaNews