22 gennaio 2015 – Il World Economic Forum ha sottolineato senza mezzi termini che le cosiddette Borse sociali, cioè i Social stock exchange, presentano la potenzialità di offrire valore agli investitori sia privati sia istituzionali fornendo l’accesso a titoli liquidi di società “ad impatto”. Su questo tema si sta però scatenando a livello internazionale un dibattito su fino a che punto sia necessario il fatto di dover relegare l’impact investing più dichiarato a listini dedicati. Vediamo di capire qual è effettivamente la situazione.

Innanzi tutto c’è da chiarire che si sta parlando di un mondo di investimenti dai numeri ormai impressionanti. Un aspetto che deve far alzare l’attenzione a chi come ETicaNews monitora l’attenzione visto che questo business dell’investimento a impatto potrebbe far gola a qualche protagonista della “vecchia” finanza in ottica puramente speculativa. D’altronde proprio il 2014 è considerato l’anno della svolta. L’interesse sempre più pubblico verso lo sviluppo globale dell’”impact investing” è esploso definitivamente lo scorso anno, alimentato anche dalla campagna a livello internazionale per il disinvestimento dai carburanti fossili da grandi investitori a cominciare dai fondi pensioni e dai fondi gestiti dalle università americane,

Non stiamo parlando quindi di briciole. Anzi. Quello che coinvolge da un lato le aziende ad impatto sociale con gli investitori attenti alla sostenibilità e alla responsabilità dei propri investimenti è un mercato emergente ma ormai già ben diffuso che secondo alcune stime supererà i 650 miliardi di dollari entro il 2020. E, appunto, un ruolo importante in questo macrosettore può essere ricoperto dai Social stock exchange.

Cosa sono? In estrema sintesi, delle Borse che come logica di funzionamento non sono poi troppo lontane da quelle classiche, pensate a Wall Street, dove però domanda e offerta – di conseguenza una quotazione – riguarda società e investitori a impatto. Come ha raccontato più volte ETicaNews, negli ultimi anni ne sono già sorte diverse in giro per il mondo. Passiamo dal punto di riferimento per tutto l’impact rappresentato dall’inglese Social Stock Exchange al canadese Social Venture Connexion, fino ad arrivare in Asia, Singapore per l’esattezza, dove è nato nel 2013 l’Impact Investment Exchange.

Tra i prossimi protagonisti in questa direzione c’è ora l’Australia. Ed è proprio qui che il dibattito sta montando: è proprio necessario un listino sociale per sviluppare l’impact investing nella terra dei canguri, già molto attiva in questo campo, o è più efficiente implementare le iniziative e le possibilità già in campo?

Nello spingere l’investimento a impatto in Australia nell’ultimo anno è stata la forte attenzione al disinvestimento dall’uso dell’energia da fonti fossili e al parallelo boom dell’offerta di energia da fonti rinnovabili. Dal punto di vista delle singole voci di domanda e offerta in ambito dell’impact investing, l’Australia non ha problemi di natura economica. Ha piuttosto l’esigenza di metterle in contatto in modo costruttivo, trasparente e sostenibile. Ma secondo i risultati di una ricerca condotta dal giornale accademico The Conversation è possibile che, almeno nella terra dei canguri, sia più efficiente una soluzione che passi dallo sviluppo di altre forme di sviluppo di una finanza sociale: «piuttosto che inventarci una nuova versione di Social stock exchange, potrebbe essere meglio utilizzare infrastrutture finanziarie già esistenti o mettere in connessione diverse piattaforme già diffuse, costruendo sinergie con modelli compatibili con la crescita globale dei mercati». Un esempio? Incrementare il numero di aziende australiane che ottengono la certificazione di “B Corp” (Benefit Corporation).

C’è poi nei risultati della ricerca citata, una sorta di critica verso gli effetti indotti dalla introduzione di una Borsa sociale. Come le difficoltà di calcolare uno Sroi (Social returns on investments) utile per dare un corretto valore ai titoli, ma anche e soprattutto il fatto che lo sviluppo di un mercato sociale ufficiale dei capitali privati spinga il governo e gli enti locali a tirarsi fuori dal fare investimenti a impatto sociale. Se non altro il dibattito su come implementare correttamente una Borsa sociale in Australia è aperto. In Italia invece siamo ancora molto, troppo, indietro su questo tema.

A cura di ETicaNews