10 ottobre 2012 – Gli investimenti sostenibili battono la finanza dura e “pura”. E rilanciano con l’impact investing. Che li si chiami con l’acronimo “Sri” o sustainable investment la realtà è una sola: il loro mercato in Europa cresce molto di più rispetto a quello del tradizionale risparmio gestito. È questa la fotografia scattata da Eurosif nella quinta edizione dello studio europeo sugli investimenti sostenibili e responsabili, presentato oggi a Milano dal Forum per la Finanza Sostenibile in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano. Se tra il 2009 e il 2011 il mercato europeo degli asset under management è cresciuto solamente del 3,8%, gli investimenti sostenibili sono volati con punte che vanno ben oltre il 100 per cento.

Per la prima volta sono entrati a far parte della ricerca gli “Impact investing”. Un mercato a oggi stimato intorno ai 8,75 miliardi di euro che nell’ultimo periodo si è ritagliato attenzioni sempre maggiori da parte degli investitori istituzionali europei. Gli impact investing sono un particolare tipo di investimenti che ha l’obiettivo di generare un impatto positivo, in ambito sociale e/o ambientale, tangibile. Tra i diversi tipi, Eurosif analizza le tre forme principali: microfinanza, social business e community investment. La microfinanza, che mira a generare valore sociale migliorando l’accesso agli strumenti finanziari soprattutto nei mercati emergenti, è l’approccio più conosciuto e diffuso. In Europa rappresenta il 55% del mercato degli impact investing. Ci sono, poi, i fondi dedicati al social business (19%) e infine i community investment. Questi ultimi, con una quota del 18% del mercato europeo, hanno l’obiettivo di sostenere le realtà locali migliorandone lo sviluppo o la qualità di vita.

Le prospettive di crescita per il mercato degli impact investing sono enormi, se si considera che la maggior barriera che ancora blocca gli investitori a scommettere in questo ambito non è, infatti, legata al rischio percepito ma alla scarsità di prodotti sul mercato.

Nonostante il 94% dei fondi sia posseduto da investitori istituzionali, il mercato degli Sri in Europa non è omogeneo: ognuno dei 14 Paesi europei indagati tende a dare la propria “interpretazione” del termine, anche a causa di legislazioni e background culturali diversi. Variano così anche i prodotti finanziari che cadono sotto l’etichetta di investimenti responsabili. Lo studio ha tentato di mettere ordine, definendo sette diverse strategie di investimento sostenibile: Sustainability themed Investment, Best-in-Class investment selection, Norms-based screening, Exclusion of holdings from investment universe, Integration of Esg factors in financial analysi, Engagement and voting on sustainability matters e infine Impact investment. Strategie che, sulla base dei dati raccolti, sembrano essere diventate sempre più popolari. Basti pensare che tra il 2009 e il 2011 tre di queste hanno registrato un incremento superiore al 90 per cento. I Norms-based Screening, che suddividono gli investimenti in base al rispetto di standard e norme internazionali, hanno raggiunto i 2,3 miliardi di asset under management, con una crescita totale del 137 per cento.

In questo caso è l’Italia a dare il buon esempio, registrando un aumento del 1.056 per cento a 314.248 milioni di euro. Gli Exclusion of Holdings from investment Universe, strategia in cui esclusi particolari settori di investimento, hanno avuto una crescita del 119 per cento. Più 113% poi per i Best-in-class, approccio in cui i migliori investimenti di una determinata categoria sono valutati in base ai criteri Esg (environmental, social and governance).

Nell’economia generale della finanza sostenibile, quasi il 50% dei fondi include ormai clausole per escludere compagnie che investono in particolari settori, basandosi sulle linee guida della convenzione internazionale sulle munizioni Cluster e mine anti-uomo.

Se il mercato resta più che mai guidato dagli investitori istituzionali, negli anni a venire un altro fattore determinante sarà il dialogo con i regolatori. Lo studio ha, infatti, registrato una crescente importanza del ruolo dei regolatori, che salgono dal quinto al secondo posto nella classifica dei driver fondamentali.

di Elisabetta Baronio

 

A cura di ETicaNews