14 gennaio 2013 – Tra i rischi dei prossimi dieci anni, i grandi della terra dovranno affrontare una sfida su tutte: la wikigovernance. È il messaggio del World Economic Forum’s Global Risks 2013, il documento, pubblicato l’8 gennaio, anticipatore dell’annual meeting del World economic forum (Wef) che si terrà nella cittadina svizzera di Davos il 23-27 gennaio. Il messaggio non viene esposto in modo diretto, e non è stato tra quelli recepiti dai media internazionali. Eppure, è un messaggio forte, su cui vale la pena riflettere.

Il Global Risks è considerato un punto di riferimento per comprendere quale sia la consapevolezza dei pericoli da affrontare nel prossimo futuro. Il forum alpino di Davos rappresenta, ormai da 40 anni, un momento di confronto tra le principali personalità socio-economico-politiche del pianeta sulle tematiche più scottanti a livello internazionale. Da otto anni, il Wef predispone l’indagine, condotta su mille esperti per valutare 50 rischi suddivisi in cinque categorie (economia, società, ambiente, geopolitica e tecnologia). Per ognuno dei fattori di rischio viene richiesto (con una scala predefinita) di assegnare la probabilità che si verifichi nel decennio a venire, e quale impatto ciò possa comportare. Per una visione generale della mappa delle sfide che attendono l’umanità, si osservi la mappa a pagina 5 del documento.

Ciò che qui appare più interessante, è la seconda parte dell’indagine. Una volta individuati i 50 pericoli, si è chiesto agli interpellati di metterli in connessione tra loro, per individuare i “centri di gravità”, ovvero per arrivare a definire i maggiori fattori di rischio sistemico. Ebbene, qual è l’incubo maggiore, capace di azionare l’effetto domino? La risposta è a pagina 53 del report, dove è presentata The risk interconnection map. Nel cuore del complicato groviglio di relazioni individuate dagli esperti, c’è la Global governance failure. Ovvero, il rischio di fallimento di governance globale. Preso a sé, ovvero senza interconnessione, questo fattore già raggiunge stime di probabilità e di impatto tra i più elevati. Ma è a livelli “aggregati” che esplode la propria pericolosità.

Non è secondario che, in una lista di pericoli che vanno dalla scarsità idrica alla fame nel mondo, dagli ordigni nucleari alle crisi finanziarie, venga assegnata tale scarsa fiducia alla capacità di governo che il pianeta è in grado di darsi. Come a dire che, qualunque siano le strategie ottimali per affrontare i singoli pericoli materiali, il problema maggiore rimane all’origine (e al vertice): la capacità di una corretta valutazione e implementazione delle scelte messe in campo.

Questa tematica era già emersa in modo netto nel Global Risk report del 2012: anche un anno fa la Global governance failure era risultata la più “interconnessa” tra i 50 rischi analizzati.

Quest’anno, tuttavia, l’analisi del Wef regala un ulteriore declinazione al concetto di governance alle pagine 25 e 26 del rapporto: è qui che nasce il concetto “wiki”. In particolare, il Global Risk 2013 affronta un’approfondita analisi denominata “Digital wildfires in a hyperconnected world” (Gli incendi digitali in un mondo iperconnesso). Il rapporto propone una interessante serie di situazioni in cui Internet e i social network finiscono per creare situazioni fuori controllo e assai pericolose (per l’individuo, per l’economia o la società), evidenziando come all’origine degli incendi ci possano essere situazioni casuali, ma anche manovre organizzate (dalla politica, dalle istituzioni, dai poteri economici). Concettualmente, il Global Risk fa un parallelo con la trasmissione del programma radiofonico di Orson Welles, La guerra dei mondi, che nel 1938 venne preso sul serio dagli ascoltatori e creò il panico nella convinzione che fosse in atto un attacco marziano. Per arrivare a un punto in cui Internet e i social media siano integrati nella società al punto da scongiurare simili reazioni, occorre un «nuovo ethos sociale», dice il report, che richiede tempo. Nel frattempo, sono necessarie riflessioni sulle regole.

Ebbene, sulle regole, il giuoco oggi va in tilt. Sul tavolo, infatti, ci sono principi chiave della cultura moderna: la libertà di espressione e il diritto all’anonimato. Come decidere di limitarli? Ancor più, chiede il Global Risk, «nel caso questo tipo di limitazioni siano adottabili, a quale authority diamo la fiducia (e il diritto) di farlo?». La partita si presenta assai delicata, tanto che nel dicembre 2012, a Dubai, la World conference on international telecomunication, che doveva aggiornare il trattato del 1988 che regola il settore, «si è spaccata – sottolinea il report – su regolamenti tecnici finalizzati alla “qualità del servizio” come le misure antispam, perché ritenuti veicoli per interventi governativi sul controllo delle reti».

Insomma, se la governance del mondo è vista come un ambito di grande rischio, la governance “wiki”, ossia aperta, condivisa, condizionata, integrata in un mondo iperconnesso, pare addirittura giunta di fronte a una frontiera oltre cui sarà necessario reinventare se stessa. Una frontiera oltre cui, di fatto, non c’è governance. Una frontiera oltre cui, in prospettiva, la governance dovrà fare i conti con l’intelligenza, le volontà, le spinte diffuse e ramificate della rete.

È interessante, infine, riflettere come i processi delineati – il rischio governance e il suo allargarsi a wikigovernance – riflettano, su dimensioni macro, ciò che vale per le dimensioni micro (cioè aziendali). A livello si singola impresa, per intendersi, è da tempo in atto una crescente attenzione alla gestione dei rischi e delle connesse tematiche Csr. Tanti specifici fattori, declinati a seconda dell’ambito di attività dell’azienda. Ma, ciò che spesso viene sottovalutato, è che perché questi sforzi siano effettivi ed efficaci, occorre siano il frutto di un’organizzazione che funziona, e che nel suo funzionamento sia consapevole del quadro complessivo di questi rischi. Un’azienda impegnata nel salvataggio dell’ambiente che riveli una governance inadeguata, non è credibile. Ancor più, un’azienda che proclami l’integrazione col territorio e con le esigenze della società in cui opera, senza capacità di ascoltare, rilevare, condividere le mozioni di quel territorio, non è credibile. Ecco perché una vera Csr ha bisogno di governance. E avrà sempre più bisogno di wikigovernance.

 

A cura di ETicaNews