25 novembre 2014 – Con una startup che punta sulla diffusione della cultura letteraria, anche SmartHub esordisce ufficialmente tra i portali di equity crowdfunding attivi in Italia. Autorizzazione Consob ottenuta lo scorso 15 aprile, qualche mese di ritardo (il debutto era previsto per settembre) per mettere a punto gli ultimi ritocchi e presentarsi al mercato con un una struttura fluida e immediata, la piattaforma dal 7 novembre ha aperto le porte alla raccolta di fondi in capitale di rischio per startup innovative e a vocazione sociale. Il primo lancio è stato affidato alla campagna Liberos, progetto della startup Isterre Srl guidata dall’amministratore unico Francesca Casula che, con un obiettivo di 200mila euro in tre mesi, intende replicare in tutta Italia un’esperienza di successo avviata in Sardegna già da due anni.

Il modello è un social che coinvolge tutti gli attori della filiera del libro: autori certo, ma anche comitati, festival, traduttori, case editrici, scuole e lettori. Una struttura ad ampio respiro che porti sviluppo e coesione sociale attraverso la promozione della cultura. Un progetto ambizioso, che condensa nel nome “Liberos” la sua stessa mission. Liberos, in sardo, è il plurale di “libri”. Ma significa anche “liberi”. La bontà dell’idea che percorre le librerie e le piazze sarde è stata già confermata nel 2012, quando si è aggiudicata la prima edizione del premio che-Fare come “miglior progetto culturale innovativo 2012”, ottenendo la prima tranche di finanziamenti di 100mila euro per lo sviluppo del programma che, dopo essersi rivelato rivoluzionario per il tessuto isolano, adesso punta a espandersi in altre regioni italiane e in altri settori.

«La scelta di Liberos per il debutto di Smarthub è dovuta a due fattori: da un lato il ruolo delle agevolazioni fiscali riconosciute alle startup innovative a vocazione sociale (detrazione d’imposta fino al 25% per le persone fisiche, deduzione dal reddito imponibile fino al 27% per le persone giuridiche ndr) dall’altro la presenza consolidata di un network di “impacter” in grado di sostenere l’iniziativa», racconta Emanuele Parisi, ad di SmartHub. L’uso di un termine inglese per definire il finanziatore non è nuova alla piattaforma, che aveva già tratteggiato due figure di supporto presenti in ogni campagna: il mentor e il tutor, che nel caso specifico sono Loredana Lipperini e Gianfranco Ridolfi. Ma la definizione di impacter traduce in un vocabolo l’idea stessa dell’investitore, non solo per Smarthub, ma per tutto l’universo dell’azionariato diffuso. «Li abbiamo definiti impacter perché chi investe in un progetto di equity crowdfunding entra a far parte di un network che crede nell’iniziativa e può operare scelte che influiscono sull’azienda stessa – commenta Parisi –. Attraverso lo scambio di informazioni tra i vari portatori di interessi, infatti, si crea una rete che si avvicina al mondo degli “open data”, ossia la massima dimostrazione di trasparenza di una società. Più sono gli investitori, maggiore sarà lo scambio di informazioni». L’azionariato diffuso, insomma permette di coniugare il crowdfunding alla “crowd-entrepreneurship”. «Chi partecipa a un progetto non è un finanziatore, ma il detentore di una quota».

Proprio in questa definizione si sposano le potenzialità dello strumento, ma anche i suoi limiti “culturali”. Se da un lato le prime campagne di successo hanno sancito l’importanza degli investitori professionali e di quanti partecipano con grosse somme, l’idea stessa di “azionariato diffuso” sfugge ancora al sentire comune. «Le principali difficoltà sono legate ai sistemi di pagamento – continua Parisi –. Nel momento in cui è accettato solo il bonifico e non i classici strumenti con cui molti sono abituati a spendere il proprio denaro online (dalle prepagate a Paypal), si mette già un primo paletto. Il resto lo fa l’obbligo di profilatura Mifid per le somme superiori a 500 euro». Ma i sistemi di pagamento mettono gli “impacter” anche davanti a un’altra novità: la necessità di lasciare il proprio Iban e il proprio documento di identità. «Il meccanismo ha una sua complessità intrinseca fondamentale per la salvaguardia dell’investitore: Iban e documento sono necessari, ma non è prassi comune nei pagamenti online. Il primo serve per rifondere l’investitore nel caso in cui la campagna dovesse concludersi con un nulla di fatto; il secondo perché il finanziatore viene iscritto come socio del nuovo progetto quando il finanziamento ha successo».

In attesa che si sciolgano i nodi iniziali sui pagamenti e sulla cultura che ruota intorno alla nuova struttura dei finanziamenti a capitale di rischio, Smarthub ha già in pipeline altre due iniziative che partiranno entro la fine del 2014. «Abbiamo deciso di mantenerci dentro una forbice che va da 50mila e 250mila euro per le campagne iniziali – conclude Parisi -, in modo da lasciare agli investitori il tempo di prendere dimestichezza con lo strumento».

Raffaela Ulgheri

A cura di ETicaNews