14 dicembre 2012 – Dipendenti coinvolti nella proprietà delle aziende. Politiche di remunerazioni approvate anche dai (piccoli) soci. Azionariato attivo. Maggiore trasparenza sul profilo di rischio. E stretta sulla pratica del cosiddetto “comply or explain”. Quattro giorni fa, la Commissione europea, approvando il piano d’azione per l’anno prossimo, ha compiuto un passo formale verso la cosiddetta wikigovernance. Il salto in avanti, annunciato in un comunicato ancora una volta snobbato dai media italiani e motivato con lo scopo di aumentare l’efficienza delle imprese, porterà a un nuovo paradigma per quanto riguarda la corporate governance principalmente delle società quotate europee. Il piano ha una valenza politica, perché apre la porta a cambiamenti capaci di ribaltare gli assetti tra azionisti e imprese e a rivoluzionare il rapporto dei cittadini con l’economia e la finanza. Le società europee quotate in Borsa, insomma, sono destinate a rivedere molte prassi. E, da qui, è lecito attendersi che le prassi entreranno nelle abitudini del sistema.

L’Action Plan fa parte di un percorso avviato negli anni recenti (vedi il sito di riferimento) e costruito attraverso consultazioni pubbliche e confronti con i principali stakeholder. Nel documento presentato lunedì vengono enunciate quelle che saranno le sfide del prossimo anno e le azioni che Bruxelle prevede di mettere in campo. Senza dimenticare – altro passaggio politico di estrema rilevanza – di riflettere sugli strumenti coercitivi finora mancati nel rendere effettive le misure.

L’AZIONARIATO DIFFUSO
La Commissione mette sotto una luce positiva l’azionariato dei dipendenti. La proposta di azionariato diffuso, «secondo ricerche condotte nel 2011 – scrive la Commissione – indicano che gli schemi di employee share ownership possono svolgere un ruolo importante nell’aumentare la quota di azionisti orientati al lungo periodo». Secondo uno studio dello European Federation of Employee Share Ownership, questa pratica è comune a Paesi quali la Germania, la Francia, la Svizzera e l’Ungheria, in cui una parte di azioni è trattenuta dai dipendenti. La Commissione intende studiare nei dettagli questa possibilità, visto che ha diverse implicazioni anche nel campo della fiscalità e della normativa sul lavoro. E «adottare le azioni appropriate per incoraggiarla attraverso l’Europa».

REMUNERAZIONI
Dal punto di vista delle remunerazioni del management, gli azionisti devono essere più informati e coinvolti nelle decisioni. «Questo può accadere – si legge nell’Action Plan – attraverso un’armonizzazione delle regole di disclosure. Ma non solo. Gli azionisti dovrebbero essere in grado di esprimere le proprie opinioni sul problema, attraverso un mandato votato da parte dell’assemblea». La questione è affrontata in modo assai difforme in Europa, in taluni casi, come in Svizzera, si sta dibattendo anche attraverso un referendum. In Italia, per esempio, i soci sono chiamati a votare, ma l’esito del voto non vincola la società. Ebbene, «la Commissione proporrà nel 2013 una iniziativa, possibilmente attraverso una modifica della Direttiva Shareholders, per ampliare la trasparenza e per garantire agli azionisti il diritto di votare sulle politiche di remunerazione».

L’AZIONARIATO ATTIVO
La Commissione raccomanda gli investitori istituzionali a essere trasparenti riguardo al modo in cui esercitano le loro responsabilità di soci, il che comprende in particolare la partecipazione alle assemblee e la trasparenza sul loro voto in sede assembleare. «La disclosure di questa informazione potrebbe incoraggiare l’impegno degli azionisti e aumentare il senso di responsabilità delle società nei confronti della società civile». Un cambiamento, questo, che comincia a essere recepito dal Comitato per la corporate governance della Borsa Italiana, il quale il 29 novembre ha avviato la riflessione per stimolare l’azionariato attivo da parte di fondi, gestori e investitori in generale, parlando di trasparenza delle politiche di voto, di monitoraggio delle società partecipate, di partecipazione alle assemblee dei soci e di gestione dei conflitti di interesse, sul modello dello Stewardship Code del Regno Unito.

ADEGUATI O SPIEGATI, MA MEGLIO
Bruxelles, inoltre, ha preso atto della necessità di rafforzare l’azione coercitiva, oggi affidata al principio del “comply or explain” (conformità o spiegazione), per cui se un’impresa agisce in modo non conforme o adeguato rispetto alle regole (in Italia le norme di autogoverno previste dal Testo Unico sulla Finanza o quelli di Borsa Italiana) è costretta a spiegare e dare giustificazione della mancata adozione delle norme stesse. Bruxelles ritiene che «troppo spesso le imprese si limitano semplicemente a comunicare che si discostano dal loro codice di corporate governance», senza in realtà “explain” alcunché. Perciò la Commissione annuncia che «nel 2013 prenderà un’iniziativa, possibilmente nella forma della raccomandazione, per migliorare la disclosure sulla corporate governance, e in particolare per alzare la qualità della comunicazione delle società che non rispettano i codici di governance».

PROFILO DI RISCHIO PIÙ CHIARO
Infine, la Commissione sprona le imprese a essere più trasparenti sui rischi e quindi la necessità di estendere la reportistica anche a parametri non finanziari per dare un quadro più comprensibile del profilo di rischio.

 

A cura di ETicaNews