29 gennaio 2013 – Nei prossimi dieci anni l’impact investing raggiungerà la dimensione di 1.000 miliardi di dollari di asset e rappresenterà tra il 5 e il 10% del valore dei portafogli di investimento. Protagonista di questo nuovo modo di fare finanza sociale e sostenibile sarà anche Opes Impact Fund, il fondo creato da Acra, Altromercato, FemS3 e MicroVentures che si è presentato ieri, 28 gennaio, a Milano al Centro Congressi della Fondazione Cariplo, in una giornata di lancio internazionale cui hanno preso parte diversi attori dell’impact investing mondiale. Tra questi, anche Jp Morgan Social Finance, che ha dato le cifre attorno alle quali ruoterà questa nuova “industria”.

La conferenza internazionale si intitolava “Disruptive thinkers: shaping solutions for poverty alleviation”. Gli interventi più significativi, argomento per argomento, della lunga giornata di lavoro sono contenuti nella sintesi della twittercronaca di ETicaNews (in pubblicazione alle 10.00).

La mattina, moderata da Gad Lerner, è stata aperta da un saluto del segretario generale della Fondazione Cariplo Pier Mario Vello che ha parlato della necessità di una nuova politica della filantropia e del fatto che le charity stanno inventando nuovi modi di intervenire per dare risposte concrete a temi quali sostenibilità, imprenditorialità e impatto sociale.

Poi è iniziato il dibattito internazionale “Social enterprises around the world” sulla centralità dell’impresa sociale nel mondo, con Harvey Coh, del Monitor Inclusive Markets, che ha sostanzialmente puntato i fari sul fatto che gli investitori vogliono partecipare quando i progetti sono già arrivati nella fase delle economie di scala, ma rimane il gap delle fasi centrali, di validazione e preparazione.

Hanno poi illustrato la loro esperienza quattro imprese sociali, Swasth India nel settore della salute, l’indonesiana Mitra Bali Fair Trade (attiva nel commercio equo e solidale), e due imprese del settore energetico, Village Energy (Uganda) e Selco Power (India).

Ed è proprio in questo “pioneer gap”, cioè nelle fasi in cui le imprese sociali pionieristiche non hanno il sostegno di cui necessitano, che interviene Open Impact Fund, ha spiegato Elena Casolari, presidente esecutivo e cofondatrice di Fondazione Opes, che ne pomeriggio ha illustrato il progetto. Perché se gli imprenditori sociali illuminati riescono a capire i bisogni della società, hanno a loro volta bisogno di avere attorno a loro un ecosistema di filantropi, di fondazioni e di investitori mossi non soltanto dalla possibilità di un ritorno finanziario, ma dalla valenza e dall’impatto sociale del progetto, anche se quest’ultimo non è facilmente quantificabile e gli addetti ai lavori dibattono ancora quali siano o possano esserne le unità di misura. Ce ne sarebbe bisogno anche in Italia? Certo. Ma Casolari non ha trattenuto una frecciata al legislatore: «In Italia vorremmo lavorare, ma la normativa italiana pone limiti».

Nel pomeriggio c’è stata anche la tavola rotonda con J.P. Morgan Social Finance Group, Impact Economy, PostNL e The Nand & Jeet Khemka. Il moderatore è stato Maximilian Martin, direttore di Impact Economy. In allegato una sua analisi del 2011 sul potenziale delle strategie di finanza “ibrida” per le imprese sociali. Evidentemente, un concetto affine ai piani di Opes, la cui scelta, si legge nel documento di presentazione del fondo, «è stata quella di creare una Fondazione di diritto italiano, quindi una organizzazione no profit (addirittura una Onlus), che investe nelle imprese sociali sia direttamente sia per mezzo di veicoli ad hoc sui territori. E’ stato definito un veicolo no profit dopo aver analizzato i numerosi fondi esistenti (quasi tutti for profit) e rilevando che il bisogno più importante per le imprese sociali è quella dei capitali pazienti, cioè di investimenti a lungo termine che tenacemente ma con premura portano progressivamente le imprese».

La Fondazione Opes è nata per sostenere le imprese di imprenditori lungimiranti che credono nel valore sociale dell’attività imprenditoriale, anche se questa è market-based. In una parola, si tratta di imprese sostenibili sia dal punto di vista sociale sia da quello di mercato. Open Impact Fund ha l’obiettivo è quello di creare il primo Social Venture Capital italiano capace di finanziare le imprese sociali che operano nei settori critici dello sviluppo: salute, accesso all’acqua e a servizi igienici di base, energia, educazione, cibo e commercio equo e solidale.

«Attualmente – spiega Casolari – il fondo è nella fase di due diligence dei progetti. I primi investimenti saranno in India e nell’Africa orientale, ma l’intenzione è anche quella di intervenire in Italia in un prossimo futuro. Si prevede di investire tra i 50mila e i 400mila euro nell’ottica di un periodo tra gli 8 e i 14 anni e durante questo periodo di trovare altri co-investitori. Sia Opes sia gli altri investitori avranno una quota di minoranza. La fondazione gestirà anche risorse a dono». In ogni caso, ha concluso, «le imprese sociali in cui investiremo, saranno solo compagni di viaggio». Solo? Non sembra poi così poco.

Fausta Chiesa

 

A cura di ETicaNews