29 novembre 2012 – Il prossimo 3 marzo potrebbe terminare per sempre l’epoca d’oro dei manager delle società quotate al di là delle Alpi. O meglio, l’epoca dei salari senza freni e senza controlli. La Svizzera, infatti, si prepara a votare in primavera l’introduzione di una norma che preveda, almeno per le aziende negoziate in Borsa, un voto obbligatorio e vincolante da parte degli azionisti sul pacchetto retributivo dei manager e dei componenti del consiglio di amministrazione. Gli executive dovranno anche dire addio ad altre forme di compenso come le remunerazioni anticipate o ai paracadute dorati (golden parachute ) in caso di uscita dall’azienda. La vicenda ha già spinto in campo associazioni, gruppi di potere e cordate di opinione, per cercare di orientare le convinzioni del pubblico. La scorsa settimana, in particolare, Economiesuisse (la Fede­razione del­le im­p­re­se svizze­re che rap­p­resenta olt­re 100mila aziende) ha annunciato un’iniezione di risorse senza precedenti a sostegno della campagna contraria all’introduzione della norma. Si parla di 8 milioni di franchi (circa 6,7 milioni di euro).

Una sorta di “controllo” vincolante degli stipendi da parte dei soci è oggi previsto in Norvegia, Svezia, e Olanda, e anche la Commissione Ue ha annunciato l’arrivo di misure (specie in campo bancario). In Italia, viceversa, il voto sulla relazione sulle remunerazioni non ha potere vincolante. Il caso della Svizzera, tuttavia, sarebbe eclatante in quanto sarebbe il frutto di una scelta popolare.

La cosiddetta rip-off salary initiative è il risultato dell’opera cocciuta di un senatore e uomo d’affari di Schaffhausen, Thomas Minder, il quale ha impiegato anni per raggiungere l’obiettivo del voto della popolazione sulla questione. Il parlamentare, infatti, non nasconde le accuse alle lobby dei gruppi d’affari e a un dibattito politico sterile a Berna, come causa del lungo ritardo.

Infatti, la proposta ha suscitato pure forti resistenze. Anche da parte di soggetti che certo non hanno dimostrato simpatie verso il modello “drogato” dei super salari, e abitualmente considerati portabandiera di posizioni alternative a quelle consolidate. Questi hanno ritenuto la proposta di Minder troppo radicale, ossia un passaggio estremo da un opposto (nessun potere agli azionisti sulle retribuzioni) all’altro (un potere continuo e permanente a prescindere dalle circostanze). Una situazione che potrebbe ridurre la capacità elvetica di attirare aziende internazionali.

Il risultato, dopo quattro anni di dibattito, è stato la preparazione di una controproposta presentata dal Governo svizzero, e accolta dal parlamento che ha dato una possibilità di scelta ai cittadini: se il 3 marzo la popolazione elvetica darà la maggioranza alla proposta di Minder, questa entrerà nella Costituzione. Viceversa, il parlamento si impegna ad attuare automaticamente la riforma di matrice governativa che amplifica i poteri degli azionisti.

A differenza dalla proposta del senatore, che prevede di rendere sempre obbligatori e vincolanti i voti degli azionisti sul tema salari, quella del governo prevede che siano gli stessi azionisti a decidere le situazioni in cui ci sia l’obbligo e il vincolo del voto. E, nel caso gli azionisti abbiano più dello 0,25%, potranno anche presentare un pacchetto alternativo di remunerazione.

Le due proposte paiono registrare un consenso nettamente sbilanciato. La classe media svizzera, infatti, è stata particolarmente colpita dalla cultura del “vincitore-prende-tutto” che ha caratterizzato il managerialismo rampante degli ultimi anni. In un sondaggio realizzato in maggio a Berna da GfS, la proposta di Minder aveva il 77% dei consensi.

 

A cura di ETicaNews