2 settembre 2013 – La finanza chiama gli “angeli del business”. Ovvero quei soggetti (in inglese, “business angels”) che permettono a molte idee d’impresa di trasformarsi in imprese vere e proprie. In un certo senso, insomma, danno loro modo di venire al mondo e di provare a restarci. Questi angeli – la locuzione con cui sono più conosciuti in Italia è però quella di investitori informali nel capitale di rischio – sono persone che hanno le competenze, le risorse finanziarie, le reti di conoscenze che sono necessarie per accompagnare imprese ad alto potenziale lungo un sentiero di sviluppo.

Fino a oggi, almeno in Italia, i business angels sembrano essersi mossi con le proprie “ali”, identificandosi in modo autonomo dalla categoria più tradizionale dei fondi di venture capital, investitori istituzionali per operazioni finanziarie a elevata scalabilità. Ma le cose sembrano cambiate e non poco. Come emerge dall’ultimo rapporto presentato da Iban-Italian Business Angels Network, l’associazione degli investitori informali italiani in capitale di rischio.

Realizzato congiuntamente al VeM-Venture Capital Monitor della Liuc Università Cattaneo, lo studio, alla sua seconda edizione, ha preso in considerazione le dinamiche del venture capital cosiddetto early stage, cioè quello che finanzia le nuove imprese proprio nelle fasi di avvio se non addirittura di costituzione (seed capital). E ha messo in evidenza un dato su tutti: business angels e venture capitalists, che in Italia sono riuniti in Aifi-Associazione italiana del Private equity e Venture capital, si sono messi a lavorare insieme, mentre fino all’anno precedente tra l’attività degli uni e degli altri la distinzione era piuttosto netta.

A dirlo sono i numeri, sebbene ancora contenuti: rispetto alle 9 dell’anno precedente, infatti, nel 2012 sono cresciute a 14 le operazioni in cui sono stati presenti sia gli uni sia gli altri. Numero che sale fino a 24 se si considerano le operazioni già in portafoglio a uno dei due operatori e in cui è entrato anche l’altro investitore. «La rete dei business angels è internazionale – ha dichiarato al riguardo Tomaso Marzotto Caotorta, segretario generale Iban – e si sta sempre più consolidando. La cooperazione tra noi e con altri attori della filiera del venture capital consente di investire insieme con importi superiori per progetti innovativi e meritevoli».

L’unione fa la forza, insomma? Forse sì. Fatto sta che nel corso dell’ultimo anno l’ammontare stabile nelle operazioni di early stage è stato di 80 milioni di euro: 50 dal venture capital, 30 dai business angels. Questi ultimi hanno ridotto il numero delle operazioni, ma raddoppiato l’investimento medio, passato da 180mila a 360mila euro. In generale, il mercato è confluito in particolare verso operazioni di seed capital (taglio medio dell’investimento 800mila euro), il che potrebbe spiegare almeno in parte la nuova tendenza a convergere tra venture capital e business angels.

In termini di geografia dell’investimento, a farla da padrone nel 2012 è stata la Lombardia, che ha attirato il 33% del mercato. Lombardia, Toscana e Piemonte si confermano il territorio privilegiato dell’investimento dei business angels. I venture capitalists guardano invece con discreto interesse anche al Sud, dove hanno indirizzato il 35% dei loro investimenti. Quanto invece ai settori d’investimento, su tutti spicca l’Ict (44% del mercato), applicazioni web e mobile in particolare. Poi energia e ambiente. Hanno attirato una buona attenzione (20% del mercato) le start-up innovative, specie se si considera che in Italia sono state intorodotte nell’ordinamento solo alla fine del 2012.

Interessante anche il fatto che i business angels hanno iniziato a guardare alle imprese sociali. Le start-up con mission sociale sono infatti regolarmente vagliate insieme alle altre, anche se non si può dire che ci sia già un focus specifico in quest’ambito. Tuttavia, i business angels hanno messo a disposizione le loro competenze, per esempio, a favore di una delle imprese sociali inserite in Changemakers for Expo 2015, il programma d’incubazione rivolto al social business promosso da Expo 2015 e Telecom Italia insieme a Make a Cube, incubatore specializzato in start-up ad alto valore sociale e ambientale. Un primo passo importante.

Andrea Di Turi

 

A cura di ETicaNews