25 ottobre 2012 – Che cosa hanno in comune Nestle, Cisco, General Electric, Alcoa e HP? Nomi altisonanti, e non immediatamente riconducibili ad aspetti social. Tuttavia, c’è un filo conduttore di matrice “sostenibile”. Hanno investito in progetti per produrre valore condiviso: non si limitano cioè a creare un ritorno per gli shareholder, ma creano vantaggi per il contesto sociale in cui si muovono. A prescindere da (pre)giudizi sull’impatto complessivo che business di grandi dimensioni inducono sull’ambiente o sulle comunità, si tratta di aziende citate nella ricerca «Creare Valore condiviso – Una guida pratica per la nuova Corporate (R)evolution», studio promosso da Fsg – compagnia non profit di consulenza strategica fondata come Foundation Strategy Group nel 2000 con l’obiettivo fini di promuovere il cambiamento del modello sociale – e da Hp azienda che da anni ha abbracciato la filosofia del valore condiviso.

Il paper, che raccoglie una serie di casi studio di aziende leader nel mercato, ha il pregio di illustrare dieci steps per rendere strategica la propria responsabilità sociale.

Il concetto di “Creating shared value” (CSV), in Italiano “creare valore condiviso”, è stato elaborato negli anni scorsi da Michael E. Porter, professore della Harvard Business School. Il termine ripensa profondamente il rapporto tra business e interesse sociale non lasciando spazio all’antagonismo. Nel momento in cui i due ambiti si incontrano si genera una ricchezza condivisa, un valore cioè non solo per la società, ma anche per il business stesso che acquisisce competenze e si apre nuove frontiere.

Ebbene, da dove si comincia a creare valore condiviso? In generale, vengono indicati tre percorsi base: ridefinire la catena del valore: migliorando cioè la qualità, la quantità e i costi dei fattori produttivi; si può poi rivedere l’offerta di prodotti e servizi puntando principalmente su innovazione e nuovi mercati; infine, una azienda può puntare sul rafforzare il network nell’ambiente in cui opera: nessuno, infatti, è autosufficiente, e anche le imprese lo devono ricordare.

Come esempio di come questi tre elementi possano creare valore se combinati insieme viene proposto il caso Alcoa, azienda leader nella produzione di alluminio, che ha creato programmi di educazione e sensibilizzazione al riciclaggio per la popolazione statunitense al fine di abbattere i propri costi di produzione. Dal 2008 al 2010 la percentuale di alluminio riciclato negli Usa è aumentata di quattro punti percentuali (dal 53% al 57%).

Lo studio suggerisce poi i dieci punti necessari suddivisi in quattro step  per creare progetti di responsabilità strategica improntata alla creazione di valore condiviso. In primis serve una visione chiara (VISION) di ciò che l’azienda è unitamente a ciò che si vuole raggiungere, un obiettivo comune condiviso che possa apportare un cambiamento socialmente rilevante. La convinzione nel programma deve arrivare soprattutto dai piani alti dell’azienda come ha fatto il top management team di General Electric (GE) scegliendo di sviluppare il programma Healty immagination.

Deve poi essere definita una strategia precisa con un focus chiaro e degli obiettivi ambiziosi (STRATEGY). Come ha fatto a suo tempo Nestlè quando ha svilluppato una tattica focalizzata sullo sviluppo rurale, l’utilizzo di acqua e la nutrizione, così ogni azienda dovrebbe ordinare per priorità le problematiche per poi definire, in un secondo momento, goal specifici, ma allo stesso tempo ambiziosi.

Si deve poi fare in modo di coordinare lo sviluppo dei propri progetti puntando sulle proprie risorse interne combinandole con ciò che l’ambiente esterno fornisce (DELIVERY). Le attività di responsabilità sociale poi intraprese dalle aziende non devono essere isolate dal business normalmente intrapreso, al fine sia di non disperdere forze sia di sfruttare le proprie competenze interne. La collaborazione con i partner è poi fondamentale.

Infine ogni azienda deve fare in modo di raggiungere performance di alto livello (PERFORMANCE). Per questo motivo è fondamentale misurare i propri progressi attraverso Key Performance Indicators. Cisco, per esempio, misura non solo quanti studenti sono stati formati nella sua accademia, ma registra anche il tipo di impiego che questi ultimi successivamente ricoprono, in modo da valutarne la preparazione. I risultati delle misurazioni non devono però rimanere inutilizzati, bensì devono essere impiegati per migliorare gli sforzi elargiti. Le imprese devono poi assicurarsi che gli investimenti siano adeguati al conseguimento degli obiettivi prefissati. E infine non bisogna dimenticarsi di comunicare, sia all’interno della propria azienda sia all’esterno.

Scegliere perciò di creare valore condiviso non è cosa da poco, ma «un investimento strategico di lungo periodo – conclude il rapporto – in cui è necessario prima di tutto avere un quadro preciso delle proprie capacità oltre che delle possibilità che il mercato può offrire». È un modo diverso di fare CSR attraverso un approccio che tiene conto delle doti specifiche delle compagnie: per questo motivo «gli input e le idee dovrebbero giungere dall’interno attraverso un approccio che dall’alto vada verso il basso». Devono perciò essere formati managers che comprendano realmente l’importanza di scommettere in questi progetti e che ne assumano la responsabilità. Anche perché, conclude la ricerca, «si tratta di un campo d’azione ancora ai primi passi. Diverse aziende hanno adottato alcuni dei passaggi indicati, ma sono ancora poche quelle che riescono a eccellere. In ogni caso, la direzione è segnata».

Elisabetta Baronio

 

A cura di ETicaNews