15 maggio 2013 – Come già accaduto nelle passate stagioni, anche quest’anno l’attività di Enel ed Eni è stata passata al setaccio degli azionisti attivi, o meglio critici. Che non hanno mancato l’appuntamento con le assemblee delle due società, svoltesi nei giorni scorsi.

Numerose le questioni socially responsible che hanno trovato posto in agenda. Promosse da una quantità di organizzazioni, italiane e internazionali, fra cui anche la Fondazione culturale Responsabilità etica (Fcre), del sistema Banca Etica. Organizzazioni che, per dirla con Andrea Baranes, presidente di Fcre, utilizzano questi appuntamenti come una sorta di «megafono»: per far sentire la voce delle popolazioni, soprattutto quelle del Sud del mondo, che spesso sono interessate da progetti di grandi aziende occidentali, ma di solito hanno poche occasioni di farsi ascoltare.

QUI ENEL
Sul tavolo dell’ex-monopolista elettrico, gli azionisti attivi il 30 aprile hanno portato diversi temi, dal peso del carbone e delle fonti fossili in generale nel mix energetico al piano industriale, con le ipotesi di investimento in centrali nucleari all’estero, alle dighe in corso di progettazione in alcuni Paesi del Sudamerica, in parte ereditate da Enel della sua controllata spagnola Endesa.

Fcre, anche a nome di altri azionisti attivi come Greenpeace o ReCommon, ha inviato a Enel una settantina di domande, anticipando il voto favorevole al piano di remunerazione della società (prevedeva un taglio di incentivi e bonus). Domande indirizzate non solo a segnalare le criticità di determinate decisioni o strategie nella prospettiva della sostenibilità, ma anche a mettere in evidenza le loro ricadute potenzialmente negative in senso economico-finanziario. «A nostro parere – ha dichiarato Baranes alla vigilia dell’assemblea – la scelta di Enel di puntare sul carbone è miope non solo dal punto di vista ambientale, ma anche per quanto riguarda le prospettive economiche della società». La campagna StopEnel, costituitasi un anno fa e composta da oltre 50 realtà della società civile italiana, ha invece organizzato in vista dell’assemblea una giornata di mobilitazione degli azionisti attivi, con varie iniziative.

Fcre ha più volte riconosciuto come Enel (allo stesso modo Eni) abbia effettivamente aperto un dialogo sui temi sui quali è stata sollecitata nel corso degli anni. Ma si vede che tra dialogare e rimettere in discussione determinate scelte il passo è lungo, almeno a giudicare dal commento dopo l’assemblea dei rappresentanti di StopEnel (i testi di alcuni interventi in assemblea si possono leggere sul sito della campagna): «Enel continua ad investire su tecnologie ultra inquinanti in Italia ed Est Europa in barba a ogni indirizzo in materia ambientale comunitario e mondiale; Enel non intende informare i cittadini sui costi reali del funzionamento degli impianti a carbone e olio combustibile in Italia, sul perché continua ad investire in mega impianti inquinanti seppur il fabbisogno energetico sia abbondantemente soddisfatto, sulle misure atte ad evitare lo smaltimento fraudolento dei rifiuti tossici derivati dalla combustione come accaduto in Calabria. Ancor più grave è che quella parte di Azienda che avrebbe il dovere di tutelare l’interesse dei cittadini in Agm (annual general meeting, ndr) non ha neanche preso parola».

QUI ENI
Il 10 maggio è stata la volta dell’assemblea degli azionisti Eni. Solo pochi giorni prima Amnesty International aveva emesso una nota per raccomandare all’azienda, con cui ha avviato un dialogo dal 2009, il «rispetto dei diritti umani della popolazione del delta del fiume Niger, in Nigeria», uno dei temi caldi che gli azionisti hanno sollevato durante l’assemblea. Insieme, per esempio, a quelli del gas flaring e dei casi di sospetta corruzione che hanno riguardato la società. In tutto circa una trentina di domande, cui la società ha risposto in modo pubblico già nei giorni immediatamente precedenti dell’assemblea.

In sede assembleare è intervenuto tra l’altro anche il fondo Knight Vinke, un azionista attivo di fatto anche se magari non formalmente (almeno in prospettiva squisitamente socially responsible), che ha chiesto ad esempio alla società guidata dall’ad Paolo Scaroni di migliorare la struttura organizzativa e di governance e di mettere mano, per rivederlo a partire ad esempio da un nuovo sistema di nomine, all’«ambiguo rapporto» con lo Stato italiano, cosa che potrebbe aumentare il valore della società agli occhi degli investitori.

In merito all’andamento dell’assemblea, e alle risposte arrivate dal management alle sollecitazioni sui temi socio-ambientali, il commento di Luca Manes, di ReCommon, una delle organizzazioni presenti in sala in veste di azionista attivo, è il seguente, anche in questo caso non positivo: «Eni e il governo italiano dovrebbero fare chiarezza sulle vicende di corruzione internazionale in cui alti dirigenti dell’Eni sarebbero coinvolti in prima persona, a partire dall’Algeria, ma non solo. Il tema è stato al centro dell’Agm di quest’anno, e le risposte agli azionisti hanno sorvolato su numerosi aspetti su cui erano stati chiesti chiarimenti. Crediamo sia responsabilità del governo italiano intervenire, in quanto azionista di maggioranza».

Ora il pensiero è già alla prossima stagione di azionariato attivo, alle assemblee del 2014. Al processo di engagement che verrà condotto per arrivarvi. E alle coalizioni di azionisti attivi che si costituiranno. Per continuare a chiedere conto alle società di quanto il modo in cui conducono il proprio business possa dirsi più o meno socialmente responsabile. E stimolarle, o magari anche obbligarle, a migliorare.

Andrea Di Turi

 

A cura di ETicaNews