21 febbraio 2013 – Oltre le regole, alla ricerca della finanza Sri 2.0. Ovvero, una finanza socialmente responsabile capace di passare per la standardizzazione, ma che per distinguersi in un mondo in cui tutto diventa «fondo etico», riesca a trovare i suoi tratti distintivi nell’anima: dell’uomo-gestore; del modello valoriale della banca. In questo sesto appuntamento del viaggio (vedi le precedenti ET.storiediCsr) alla ricerca della Csr nella finanza, Stefano Montobbio, responsabile Sri di BSI, comincia a svelare la meta. La chiama finanza Sri 2.0. E la intende come una fenice che risorge dalle proprie ceneri, ovvero da un sistema che, regola dopo regola, costruisce i propri modelli per emergere dal punto più basso della crisi (quella attuale), risolve il paradosso di credibilità che azzera l’utilità di scommettere sulla sostenibilità e, infine, adotta l’etica come uno standard. Arrivando, in questo modo, a decretare la morte del concetto di finanza Sri (che senso avrebbe, a quel punto, chiamarsi Sri?). Ma arrivando anche a risorgere vero, valoriale, etico, perché improntato in una consapevolezza autentica nel soggetto attuatore.

Nel raccontare, Montobbio utilizza la metafora del tempo che scorre in un viaggio, tempo che non è unico. C’è quello al di qua e quello al di là del finestrino. Così funziona il tempo della finanza e della sostenibilità («la finanza ed il mondo del business vivono spesso su tempi diversi rispetto alla realtà»). C’è quello di una crisi senza precedenti che ha minato come non mai la fiducia nelle banche. C’è quello della crisi di identità che ha alimentato la fiducia, all’interno delle banche, in un modello diverso. È un paradosso. Un momento di scollamento totale. Perché il vettore negativo (la crisi di immagine delle banche) rischia di rendere non credibile, e dunque di bloccare il vettore positivo (la ricerca degli Sri).

Tuttavia, «la risoluzione di questa “dicotomia temporale” è una grande sfida per la finanza odierna, perché quando vinta aprirà nuove opportunità». Gli strumenti cominciano a esserci, per risalire la china. Per esempio, l’integrated reporting, come motore di consapevolezza. E la Tobin Tax come freno alla speculazione. Ma, soprattutto, Montobbio richiama la misura dell’esenzione dalla Tobin per i fondi etici e/o Sri, quale fattore cui guardare con attenzione. «Si ripresenta il problema terminologico: come definire – si chiede – i fondi Sri? Quali sono le caratteristiche richieste, quali gli eventuali criteri minimi o obiettivi che deve avere un investimento per poter ricevere questa esenzione? Serve decidere come o dove posizionare il “selettore” di cui parlavamo la volta scorsa».

È un punto cruciale. Attorno al quale l’autore gioca in prospettiva: «Se tutti applicassero le metodologie per rientrare nell’etica, se gli investimenti sostenibili diventassero mainstreet cosa ne accadrebbe di loro? Come potrebbero distinguersi e aver valore se diventassero lo standard?».

La risposta riporta inevitabilmente la discussione, come già dimostrato nelle puntate precedenti, su «una differenziazione ad un altro livello. È l’immagine stessa del gestore, dell’asset manager che entra in gioco». Non si discuterà più di regole. Bensì «la sostenibilità negli istituti finanziari – sottolinea Montobbio – potrebbe quindi prendere spunto da una forma di coerenza coi propri valori. Questi non devono fermarsi al rispetto delle leggi, ma andare oltre la normativa per entrare nel mondo dell’etica e del comportamento».

È questa la prospettiva della finanza Sri 2.0 che «oggi è brace sotto la cenere, domani potrebbe diventare nuova fiamma».

 

Sotto la cenere
di Stefano Montobbio – Responsabile Sri di BSI

 

La storia si avvicina alla fine. Il viaggio che potevamo fare è quasi arrivato al capolinea. O forse, per meglio dire, si avvicina a una tappa intermedia. La fortuna di poter viaggiare forse non sta tanto nel raggiungere una meta ma nei pensieri e nelle sensazioni che scorrono guardando fuori del finestrino, osservando il mondo dall’altra parte del vetro. In questi momenti sono già contenute una parte delle emozioni, paure e gioie che proveremo all’arrivo. Il tempo muta durante il viaggio, si allunga o si accorcia secondo logiche particolari. Raramente scorre costante; il tempo cronometrato e quello interiore seguono strade diverse.

In maniera simile, ma molto più prosaica, la finanza e il mondo del business vivono spesso su tempi diversi rispetto alla realtà. Il tempo finanziario per esempio è spesso più corto di quello reale, più insofferente rispetto all’attesa. Chi gestisce investimenti, soprattutto all’inizio, si trova talvolta spiazzato di fronte alla constatazione che le logiche seguite dal mercato non sono completamente allineate con gli interessi della collettività; talvolta anche degli investitori stessi. Questa contrapposizione è maggiormente visibile a chi si occupa di sostenibilità, dove logiche di breve periodo sovente contrastano con obiettivi di lungo. Pensiamo semplicemente al dibattito sui bonus multimilionari e sulla difficoltà di legarli al reale andamento di un’azienda. Questa tematica, così come altre sull’orizzonte temporale da prendere in considerazione, è recente ed è in parte figlia della crisi. La risoluzione di questa “dicotomia temporale” è una grande sfida per la finanza odierna, ma quando vinta aprirà nuove opportunità. La cattiva notizia è che il percorso sarà lento e difficile, la buona è che è già cominciato.

Uno dei primi passi in questa direzione è l’integrated reporting (theiirc.org). Una coalizione di regolatori, investitori, società, associazioni quali IASB, International Federation of Accountants e altre stanno lavorando per definire una nuova modalità di reporting dei dati aziendali che possa tener conto in maniera il più completa possibile delle varie “dimensioni” delle imprese. Scopo finale è quello di dare informazioni accurate che mettano in evidenza gli interessi dei diversi stakeholders. Il nuovo formato dovrebbe creare una maggior consapevolezza di queste istanze e farle risalire fino al nocciolo decisionale dell’azienda. Renderà possibile una “miglior integrazione interna e permetterà di stabilire legami chiari tra indicatori finanziari e non, allineando problemi ambientali, sociali e di governance, al business”.

Questo è una tappa importante. L’adozione futura di questa nuova modalità di reporting non implica però necessariamente un approccio più sostenibile e responsabile del business; obbliga ad acquisire maggior consapevolezza dell’esistenza di aspetti diversi e complessi, solo apparentemente estranei alla gestione aziendale. In maniera simmetrica, la sua esistenza non comporta né una certificazione di sostenibilità dell’azienda stessa, né la garanzia di una gestione “responsabile” degli investimenti. L’integrated reporting sarà però un nuovo strumento valido per effettuare scelte più consapevoli, qualsiasi esse siano.

Pensiamo che, quando adottato, aiuterà anche la definizione di sostenibilità contribuendo a distinguere tra una visione più “efficentista” del termine e una più onnicomprensiva. Da ciò anche la finanza ne trarrà beneficio perché la confusione terminologica che esiste relativamente al termine sostenibile, è ormai più dannosa che positiva: non agevola la comprensione. La finanza responsabile invece ha bisogno di trasparenza e chiarezza, oggi più che mai. Se queste esistessero, sarebbe più facile comunicare con l’investitore e il settore potrebbe recuperare un po’ della stima recentemente perduta.

Da un lato pensiamo che, in quest’ambito, esista da parte delle aziende una genuina volontà di osare di più. Dall’altro la paura di essere criticati per greenwashing o di essere poco credibili frenano il passaggio dall’intenzione alla pratica. La situazione è, per certi aspetti, paradossale. Oggi è più facile implementare investimenti responsabili e/o sostenibili rispetto a qualche tempo addietro. Il foglio non è più bianco, le informazioni sono molteplici e la comprensione dei problemi è aumentata. Tuttavia, la finanza è meno credibile che in passato, ed è quindi più difficile cambiare la propria immagine. Quello che un tempo poteva venir percepito come una scelta coerente col ruolo sociale delle banche, oggi rischia di essere tacciata di opportunismo. Occorrerà tempo affinché la confidenza ritorni e anche se non tutte le aziende finanziarie meritano lo stesso trattamento, la credibilità di chi vuole andare in questa direzione è stata scossa. Anche in quest’ambito, in un certo senso, l’IR potrebbe semplificare il compito. Nel momento in cui un’azienda è obbligata a fornire determinate informazioni e a collegarle alle strategie a lungo termine, anche l’investitore è portato a considerarle.

Un altro segnale positivo lo individuiamo nell’introduzione della Tobin Tax. Sia pur in maniera moderata, riduce il trading speculativo e di corto periodo e spinge la finanza a sposare scelte maggiormente improntate al lungo periodo. L’esenzione per i fondi etici e/o SRI, come dovrebbe accadere in Italia, la rafforza ulteriormente. Si ripresenta però il problema terminologico: come definire i fondi SRI? Quali sono le caratteristiche richieste, quali gli eventuali criteri minimi o obiettivi che deve avere un investimento per poter ricevere questa esenzione? Serve decidere come o dove posizionare il “selettore” di cui parlavamo la volta scorsa. Il fatto che parta un gruppo di lavoro su questo aspetto, come raccontava Davide Dal Maso su questo sito, è positivo e utile. Senza chiarimenti in questa direzione sarà difficile fare passi decisivi in avanti.

Non pensiamo che gli interventi normativi saranno risolutivi. Così come non esiste una regola aurea su come pesare le metriche di bilancio all’interno dell’analisi finanziaria tradizionale, è impossibile obbligare un investitore a considerare fattori socio ambientali negli investimenti. Si può creare un obbligo a fornire dati extra-finanziari accurati, non ad utilizzarli secondo formule fisse.

Però la pressione verso una maggior disclosure d’informazioni, verso un’obbligatorietà di certe comunicazioni aiuterà a creare una cultura della sostenibilità. Forse deresponsabilizza le scelte, ma contribuirebbe a spostare l’asticella più in alto, a migliorare la finanza e a renderla più allineata anche ad altri obiettivi.

A questo punto una domanda è d’obbligo: se tutti applicassero metodologie simili, se gli investimenti sostenibili diventassero mainstreet cosa ne accadrebbe di loro? Come potrebbero distinguersi e aver valore se diventassero lo standard? Forse, almeno quelli basati esclusivamente sull’efficienza, morirebbero. Diventerebbero in un certo senso vittime del proprio successo, “martiri” per una finanza migliore.

Forse però la differenziazione dovrebbe avvenire ad un altro livello. È l’immagine stessa del gestore, dell’asset manager che entra in gioco. La tradizionale banca d’affari anglosassone, anche se è in grado di offrire un prodotto tecnicamente perfetto dal punto di vista della sostenibilità, difficilmente potrà essere credibile o scaldare l’investitore.

Non si tratta quindi solamente di aggiungere criteri extrafinanziari agli investimenti, serve altro. Gli interventi normativi aiuterebbero anche a spostare l’attenzione su un altro piano, quello della coerenza. Le società finanziarie interessate a essere credibili in quest’ambito dovrebbero distinguersi prima di tutto nei comportamenti “individuali”. La consapevolezza che non conta solo il fine, ma anche i mezzi utilizzati per raggiungerlo sarebbe destinata ad aumentare. La sostenibilità negli istituti finanziari potrebbe quindi prendere spunto da una forma di coerenza coi propri valori. Questi non devono fermarsi al rispetto delle leggi, ma andare oltre la normativa per entrare nel mondo dell’etica e del comportamento. È trasparenza e comprensione delle conseguenze delle azioni. Diventa, come abbiamo scritto in passato, la ricerca di far conciliare valori, con decisioni d’investimento, e di far combaciare performance e sostenibilità. Questo processo obbligherà le aziende a interrogarsi sui propri valori, a discuterli e darà nuova forza, motivazione e slancio al loro agire. In questo modo, l’SRI forse morirebbe, ma avrebbe portato la finanza ad un livello un po’ più alto. E come un’araba fenice potrebbe risorgere, anche se con forme un po’ diverse. Una specie di SRI 2.0. In fin dei conti, siamo ottimisti, il tentativo di migliorarsi è connaturato all’uomo.

Non sappiamo quali risultati potranno arrivare, così come non sappiamo se l’adozione sistematica di un approccio più responsabile agli investimenti avrebbe in qualche modo potuto attutire la crisi. Siamo però sicuri che dei comportamenti in armonia con quanto sopra, ne avrebbero ridotto gli effetti. La speranza a questo punto è che la situazione attuale, pur con tutto il bagaglio di sofferenze, dolori e difficoltà che si porta appresso possa avere un risvolto positivo. Alla fine l’unico modo per dare un senso a questo periodo è proprio quello di utilizzarlo per imparare dagli errori, per rivedere schemi e comportamenti e cercare di migliorarli. Ora è il momento di farlo. Ci sono meno risorse disponibili oggi e gli attori finanziari sono molto più guardinghi che in passato nel percorrere strade innovative. Siamo però sicuri che in molti, in maniera genuina, si stiano chinando per cercare di capire dove sono stati fatti gli errori e cosa poteva essere evitato. Oggi è brace sotto la cenere, domani potrebbe diventare nuova fiamma.

 

A cura di ETicaNews