24 gennaio 2013 – La sostenibilità sociale non è più un foglio bianco. Nel senso che, a differenza di qualche tempo addietro, sul foglio cominciano a esserci dei punti di riferimento: una consapevolezza acquisita da persone e organizzazioni, o forse appena una sensazione, magari leggibile in controluce, che consente punti di appoggio per fare emergere “il viaggio”, ossia il racconto, valori da condividere. Stefano Montobbio, responsabile Sri di BSI, in questo suo quinto appuntamento del viaggio alla ricerca dei confini della sostenibilità nell’economia e nella finanza, dopo aver posto domande anche provocatorie nelle precedenti ET.storiediCsr, segna un punto importante di ottimismo. I progressi in campo della Csr sono una sfida culturale. Una cosa molto complessa che rischia peraltro di restare impigliata nella mistificazione dell’utilitarismo. Eppure, per quanto occorra scrutare con attenzione i tanti orizzonti che circondano la Fortezza Bastiani, qualcosa si sta muovendo. Il cammino è cominciato.

«Qui non ci sono nemici – scrive Montobbio – ma convenzioni, abitudini, modi di pensare da superare. La metafora del viaggio è corretta, ma è un viaggio particolare nel quale il punto di arrivo non è chiaramente visibile». L’autore è consapevole che il punto di partenza sia ancora come un «foglio bianco», una sorta di «vuoto» in cui è difficile intravedere direzioni precise. Per orientarsi, forse, sarebbe interessante una maggiore condivisione: creare quello che lui chiama «un osservatorio delle difficoltà». Aiuterebbe a mettere dei punti fermi.

Punti fermi che, concettualmente, restano comunque ancorati a questioni di cultura diffusa: «Tra le tante difficoltà che vediamo, quella più grande è legata a una domanda che cresce lentamente. L’abbiamo già detto più volte, il ruolo del privato è e sarà fondamentale». Occorre superare questioni di sfiducia verso la finanza e i timori di rendimenti inferiori alla media. Ma già esistono scelte «morali» che possono cambiare le cose. Vanno affinati i criteri, i «selettori» li chiama Montobbio. Ma già il fatto che questi selettori ci siano, consente di superare il panico del foglio bianco. È possibile iniziare a scrivere.

 

Da un foglio bianco
di Stefano Montobbio – Responsabile Sri di BSI

La sindrome del foglio bianco. Quasi chiunque provi a scrivere e non sia scrittore o giornalista di professione, conosce questo momento. Le idee si accavallano in testa, ma non riescono a trovare una forma compiuta che ne permetta il depositarsi scorrevole sul foglio. Oppure il vuoto, la sensazione che manchi una direzione, che la meta sia oscura e non chiaramente visibile. È la paura del “viaggio”, la paura del nuovo, di quello che sta per succedere. Chi comincia a scrivere non vede chiaramente se gli ostacoli che incontrerà saranno facili da superare, se occorrerà aggirarli o se resteranno invalicabili. È un modo per mettersi alla prova. Le cose nuove necessitano di tempo prima di farsi largo, di prendere vita e consolidarsi. È quello che succede con la sostenibilità in finanza. È un concetto relativamente nuovo, sconosciuto ai più e che fa in qualche modo paura. Molti vedono il foglio bianco e non sanno da che parte cominciare.

Nello scorso articolo abbiamo immaginato un ruolo per le imprese e la finanza in particolare. Non è utopico, è realmente possibile sospingere, implementare e diffondere pratiche più responsabili. Le difficoltà, tuttavia, restano e i cambiamenti sono lenti. Lo viviamo in prima persona, schiarite si alternano a giornate nebbiose. L’attesa di Giovanni Drogo, il tenente del Deserto dei Tartari, è diversa; nel libro di Buzzati il nemico non arrivava mai, tranne che alla fine. Qui non ci sono nemici, ma convenzioni, abitudini, modi di pensare da superare. La metafora del viaggio è corretta, ma è un viaggio particolare nel quale il punto di arrivo non è chiaramente visibile. È un po’ come la definizione di sostenibilità: oggi forse non esiste veramente, ma è una tensione verso di essa. Anche questa è una difficoltà in più.

Di strada da fare e ostacoli da superare ne abbiamo ancora molti, come tutti. Qualche volta però abbiamo la sensazione che guardare ai problemi da un’ottica diversa possa aiutare ad affrontarli. Sarebbe interessante, a questo proposito, creare un “osservatorio delle difficoltà”. Sicuramente qualcuno si troverà in situazioni simili alla nostra, altri ci saranno già passati. In ogni caso chi si confronta con la sostenibilità non affronta solo difficoltà esterne, ne esistono anche interne a ogni organizzazione. L’aggiunta di nuovi criteri, di modifiche nei modi di pensare e agire, porta a ripensare e a dover condividere con altri le scelte, a cambiare le abitudini e i modi di lavorare. L’uomo è un animale abitudinario e occorre coraggio e leadership per portare avanti i cambiamenti. Non sempre questa esiste e quando c’è, il cambiamento è vischioso, lento. Forse non può essere diversamente, il cambiamento è prima di tutto culturale e richiede tempo.

Tra le tante difficoltà che vediamo, quella più grande è legata ad una domanda che cresce lentamente. L’abbiamo già detto più volte, il ruolo del privato è e sarà fondamentale. Con una domanda scarsa, in un momento di crisi come l’attuale, è difficile investire per creare analisi, prodotti o servizi. L’assenza di prodotti non favorisce la domanda che resta quindi assopita e così via, in una spirale che rischia di restare senza uscita. Occorre investire, anticipare la domanda, ma affinché questa decolli serve chiarezza su diversi punti.

Eurosif, associazione europea che raccoglie i diversi forum di sostenibilità nazionali, aveva realizzato un’analisi sui motivi che rallentano la diffusione degli investimenti responsabili. Due aspetti emergevano: mancanza di fiducia in coloro che offrono prodotti di questo tipo e paura di un ritorno finanziario inferiore alla media.

Quando lo scetticismo è legato all’immagine del settore finanziario, alla credibilità di chi propone questi investimenti, possiamo capirlo. Ci mettiamo nei panni di un investitore, di un privato. Nel recente passato alcune istituzioni finanziarie non hanno sempre tenuto comportamenti esemplari. Quando ascoltiamo le stesse aziende che propongono investimenti sostenibili che hanno l’ambizione di contribuire a migliorare la Società, come facciamo a non sentirci a disagio?

Per onestà intellettuale potremmo rivolgere la stessa domanda a noi stessi. È credibile parlare di sostenibilità ed etica negli investimenti in Svizzera? La risposta è affermativa ed è una specie di ritorno alle origini; l’etica e la responsabilità sociale in tutti i settori hanno qui radici molto antiche e profonde ed i cambiamenti che stiamo portando avanti, anche con fatica, sono tanti e non solamente legati alla sostenibilità.

In generale comunque crediamo che occorra fare delle distinzioni, non tutti meritano gli stessi trattamenti. Su questi aspetti però torneremo nel prossimo futuro.

Capiamo le paure, in parte sono giustificate. Bisogna però capire che Mistrust e performance sono due incognite di un’equazione. Sono l’alpha e l’omega di un percorso, questa volta “morale”, nel mondo degli investimenti.

Proviamo a partire. Oggi, salvo rari casi, criteri ambientali e sociali sono inutilizzati nella finanza. Questa è una scelta a-morale. Questo lo diciamo non in un senso negativo, ma nel senso privativo del termine. Nel momento in cui investo senza effettuare ragionamenti che vanno oltre l’aspetto finanziario, faccio scelte che, non considerando aspetti etici, sono a-morali per definizione. Andiamo oltre.

Se introduciamo considerazioni ambientali o sociali nei criteri di analisi e di scelta, ma lo facciamo in maniera subordinata al risultato finanziario, non aggiungiamo considerazioni etiche. Così l’efficienza energetica per risparmiare o il buon trattamento dei dipendenti finalizzato a preservare il capitale umano di un’impresa sono scelte corrette e di buon senso, ma non necessariamente legate a una scala di valori. Nella concezione kantiana è l’intenzione che determina la moralità di un gesto. Se le ragioni che spingono a considerare aspetti extra-finanziari sono esclusivamente economiche o finanziarie, restiamo nel campo di scelte a-morali. Una scelta di questo tipo presenta comunque ricadute positive. Se un investitore decide che non vuole investire in aziende inefficienti e maggiormente inquinanti o con un personale insoddisfatto, fornisce in ogni caso una spinta a mettere in pratica comportamenti più responsabili. È sufficiente questa ricaduta a definire l’investimento sostenibile? Pensiamo di no, ma visto l’ampio catalogo di definizioni di sostenibilità, potrebbe anche essere definito tale. Anche se pensiamo che la sostenibilità senza un’etica sia zoppa, questo tipo di approccio rappresenta comunque un passo in avanti rispetto all’assenza di considerazioni extrafinanziarie. Un investitore dovrebbe sentirsi preso in giro se gli venisse proposto un approccio di questo tipo? Non necessariamente. Diversi già lo fanno. Potrebbe sentirsi ingannato se gli fossero prospettati risvolti etici superiori a quelli che questo tipo di approccio può fornire.

Noi però vorremmo qualcosa di più, non ci basta che un’azienda sia efficiente. Così, per riprendere l’esempio dell’articolo scorso, l’azienda che sottrae acqua all’agricoltura locale condannandola all’estinzione, non sarà necessariamente punita dal mercato per questo suo comportamento. Almeno non fino a ieri. Però se questi comportamenti si sommano, le probabilità che l’azienda sia penalizzata aumentano. Il domani è una scommessa e noi pensiamo che alcuni aspetti saranno sempre più rilevanti per il mondo del business. Se l’etica non contasse nulla, come si spiega l’impressionante crescita del commercio solidale negli ultimi anni? Atteggiamenti corretti avranno risvolti positivi sia a livello sistemico che individuale. Forse proprio perché saranno premianti a livello sistemico impareremo a gratificare chi li mette in pratica. Questo tipo di approccio non è necessariamente diverso dalla scommessa su quale tablet o vestito si venderà di più nella prossima stagione. È possibile che questi investimenti rendano meno? Sì, assolutamente sì, ma esattamente come un qualsiasi investimento che porta a scegliere un numero limitato di titoli in un universo pressoché infinito. Il rischio cui ci si espone non è diverso da quello di chi compra un’azienda in base a criteri solo finanziari. Nel momento in cui introduciamo considerazioni che è forse esagerato definire etiche, ma che vanno al di là della pura e semplice finanza, le rendo più forti e conosciute. Il nostro obiettivo non è fare necessariamente meglio del mercato, anche se ci proviamo, ma è quello di rafforzare una cultura della sostenibilità e della responsabilità delle scelte. Più riusciremo ad avanzare, più sarà facile ottenere risultati che vanno oltre le attese. Il dubbio per noi non è sul se, è sul quando.

Prima di concludere è necessario l’ultimo passo, l’ultima tappa di questo percorso, di questo viaggio nel viaggio. Per certi aspetti la più interessante, ma anche la più difficile. Non è il nostro ambito, se non per interesse personale, ma così come una persona può mettere in piedi attività filantropiche, così è possibile scegliere di fare investimenti che mirano espressamente a ottenere un ritorno inferiore. Per scelta, per gratuità, per amplificare performance di altro tipo. Per creare occupazione, ridurre la povertà o altro. Per una scelta questa volta decisamente morale, insomma.

Ci sembra quindi che una parte delle paure legate alla poca fiducia ed al ritorno finanziario sia dovuta alla parziale immaturità del dibattito sulla sostenibilità, alla sua relativa novità. In parte forse è anche una questione terminologica e di trasparenza. L’assenza di una chiara definizione di sostenibilità ha favorito l’ascesa del concetto. Ora, forse, è arrivato il momento di definire meglio le parole ed il loro significato.

È giusto che l’investitore abbia dei dubbi riguardo alla fiducia e alla performance. È comprensibile che sia diffidente, ma è altrettanto importante che capisca che queste paure possono nascere da una mancanza di comunicazione o trasparenza e non sono necessariamente connaturate alla finanza sostenibile. L’inganno può esserci come in qualsiasi prodotto. Il dualismo tra performance e fiducia è spesso una questione d’incapacità (o forse non volontà) di comunicare chiaramente tra un’offerta che si definisce sostenibile e magari lo è molto poco e una domanda che vorrebbe qualcosa di più o diverso, ma magari non capisce le conseguenze.

Non vogliamo giudicare quale è il modo più corretto per investire. Siamo però convinti che la sostenibilità possa essere rappresentata da una specie di selettore che permette di dosarne l’intensità. Se l’interruttore è troppo basso e lasciamo presupporre valori morali quando sono assenti, rischiamo di creare una “presa in giro” che danneggia la credibilità. Se è tarato troppo alto è possibile che considerazioni etiche, sicuramente meritevoli ma magari non richieste, portino ad una perdita di efficienza finanziaria. È difficile muoversi in quest’ambito, molto più che in un contesto tradizionale. Tuttavia il livello d’equilibrio esiste, non siamo più davanti ad una superficie immacolata su cui è difficile scrivere. Non è forse facile trovare la giusta armonia, ma oggi la sindrome del foglio bianco è più facile da superare rispetto a qualche anno fa.

 

A cura di ETicaNews