23 luglio 2014 – Pochi ma buoni, si direbbe utilizzando il noto adagio. Insomma, eccellenze. Al momento però quasi isolate. È un po’ questa l’immagine che riassume lo stato di adozione del report integrato in Italia: sono infatti ancora molto poche le aziende italiane che si sono incamminate nella sperimentazione di questa nuova forma di reportistica della sostenibilità (in realtà è molto più di questo, tant’è che si parla di “integrated thinking”), che a detta di tanti è destinata ad affermarsi in futuro.
Una delle eccellenze italiane in quest’ambito è Eni, fra le sette aziende italiane che partecipano al pilot programme lanciato da Iirc-International Integrated Reporting Council. Per conoscere meglio l’esperienza di Eni in materia di report integrato, abbiamo chiesto l’opinione di Sabina Ratti, Sustainability Senior Vice Presidente Eni.
Quando e perché avete fatto la scelta del report integrato?
Abbiamo avviato il percorso nel 2010, prim’ancora del lancio dell’iniziativa di Iirc volta a definire un framework di rendicontazione integrata. Con il report integrato cerchiamo di rappresentare il nostro modello di business sostenibile in tutte le sue valenze e accezioni, soprattutto nella sua capacità di generare nel tempo valore sostenibile per gli stakeholder. Eravamo infatti consapevoli che le misurazioni disponibili, economico-finanziarie e di sostenibilità, non riuscivano a dare conto del pensiero strategico integrato dell’azienda, perché continuava a mancare sia il collegamento fra queste due categorie di metriche, sia la prospettiva strategica: nel reporting integrato abbiamo individuato lo strumento che serviva per farlo.
Cosa vuol dire per un’azienda organizzarsi al suo interno per realizzare un report integrato? Quali sono i processi da attivare, quale “fatica” organizzativo-gestionale comporta?
Non abbiamo riscontrato difficoltà culturali: Eni utilizza da sempre anche leve non finanziarie per raggiungere obiettivi operativi, economici e finanziari, dovevamo solo portare a sistema questo pensiero. Abbiamo piuttosto rilevato difficoltà procedurali, legate alla logica dei “silos organizzativi” prevalsa per anni. Il percorso verso l’integrated reporting ha comportato la rivisitazione delle procedure nel senso della trasversalità. Questo “mutamento di paradigma”, incentrato su riorganizzazione di sistemi, processi e pratiche, e rendicontato, è necessario per le imprese che intendono creare valore perseguendo una conduzione integrata e sostenibile del business.
Che cos’ha di più, o di diverso, il report integrato rispetto al bilancio sociale o di sostenibilità? È destinato a soppiantarlo o potranno coesistere?
Non so se coesisteranno o meno. Il punto essenziale è che, a prescindere dal documento utilizzato, l’approccio integrato deve necessariamente essere la modalità con cui l’azienda racconta se stessa. Per me questo equivale al passaggio dalla responsabilità sociale alla cittadinanza d’impresa, che prevede una coerenza di obiettivi tra business e sostenibilità.
Qual è stata la valutazione dei principali stakeholder aziendali in merito alla decisione di produrre un report integrato? Analisti Esg e investitori Sri lo considerano più corrispondente alle loro esigenze informative?
Il reporting integrato amplia lo spettro di stakeholder cui si rivolge il reporting aziendale. È un vantaggio riconosciuto, ad esempio, dal mondo degli investitori Esg, perché le informazioni tradizionalmente “di sostenibilità” escono da un “ghetto per specialisti” e sono riconosciute come di interesse per la valutazione complessiva dell’azienda. C’è però una difficoltà operativa che speriamo sia legata alle fasi iniziali: il report integrato, per varie ragioni, può diventare un documento anche molto complesso. Perciò, affinché possa costituire effettivamente un riferimento per tutti, dev’essere centrato sulle informazioni materiali per il business. E dev’essere sintetico, prevedendo un eventuale collegamento a documenti di approfondimento. In questo senso vi è la necessità di aprire un dialogo con gli stakeholder, perché comprendano la complessità del processo e lo recepiscano positivamente, anche aiutandoci.
A vostro avviso l’adozione del report integrato sarà market-driven, guidata da consumatori e investitori?
Oggi gli stakeholder in generale, anche se vi sono rilevanti eccezioni e il loro ruolo resta essenziale nella diffusione del report integrato, non sembrano in grado di guidare questo percorso perché stanno cominciando solo ora a conoscerlo. Occorre che capiscano come, anche questo, garantisca il successo del business sul lungo termine, in un contesto sociale più sano, equo e sostenibile. Molti, però, come ho constatato nella mia esperienza, hanno difficoltà a comprendere discorsi simili. Per questo condivido solo in parte una versione market-driven dell’integrazione: questo è, innanzi tutto, un processo che viene dall’interno dell’azienda, che mira a rappresentare in modo più completo quello che essa è, come opera, come raggiunge obiettivi e risultati. Sta quindi a noi promuoverlo e trovare le modalità più giuste per renderlo fruibile e apprezzato.
Come vedete allora il processo di diffusione del report integrato in Italia e a livello internazionale?
Una svolta per le imprese è stata la Conferenza di Rio +20, dove al settore privato è stato riconosciuto un ruolo importante per lo sviluppo sostenibile. Per cui le imprese dovranno essere parte attiva, insieme agli altri attori sociali, nel raggiungimento dei target di sviluppo sostenibile a livello globale. E credo che le aziende che hanno già intrapreso il percorso del reporting integrato si troveranno avvantaggiate. Posso solo dire, riguardo al contesto italiano, che le aziende che appartengono al pilot programme di Iirc, o quelle comunque interessate all’applicazione del framework, sono molte: la rappresentanza italiana è più significativa rispetto a quella di altri Paesi. Questo fa ben sperare che le imprese italiane contribuiranno a tracciare la strada dell’integrazione.
Come valutate l’esperienza della partecipazione al pilot programme e quali sono i prossimi step previsti?
È stata di grande aiuto. Ci ha permesso di esplicitare al meglio le caratteristiche del nostro modello di business integrato. Con la pubblicazione della prima versione del framework siamo entrati in una fase critica, in cui la logica e i principi che ne sono alla base dovranno essere sperimentati, anche allargando l’esperienza del pilot programme. Ci poniamo l’obiettivo di continuare a migliorare e desideriamo farlo insieme ai nostri stakeholder.
Andrea Di Turi
A cura di ETicaNews