24 luglio 2013 – Alle radici della responsabilità sociale dei distretti industriali dell’Emilia-Romagna, per farne un modello da condividere nel Paese. La sfida di Maurizio Chiarini, presidente di Impronta Etica, associazione che dal 2001 si batte per promuovere la Csr (o Rsi, responsabilità sociale d’impresa), non può che partire da oltre mezzo secolo di cultura del network sviluppata a livello distrettuale. Una cultura che, lungo la Via Emilia, ha saputo abbinare l’idea della crescita economica a quella della qualità della vita. Nata per volontà di alcune imprese emiliano-romagnole, Impronta Etica conta attualmente 26 associati*. L’obiettivo è quello di promuovere informazione e ricerca, nonché, appunto, «di creare un network tra imprese e organizzazioni attive sui temi dello sviluppo sostenibile». Concetto, quello dello sviluppo sostenibile, che in Emilia si sta traducendo in modelli di aziende-istituzione (vedi il caso Hera, di cui Chiarini è amministratore delegato) che cercano «di massimizzare le diverse dimensioni del capitale territoriale». Proprio alla ricerca di questo benessere “oltre-il-Pil”, Impronta Etica ha realizzato, insieme a Scs Consulting, lo studio “Il contributo dell’impresa responsabile nella creazione di valore per il territorio”. L’Emilia-Romagna, certo, parte in vantaggio: «Nei distretti ci sono tutti gli elementi della cultura Rsi territoriale». Ma la partita si deve giocare a livello di Paese. E qui Chiarini non risparmia una stoccata: «Sui temi della Rsi, dal 2002 fino all’action plan pubblicato a marzo 2013, abbiamo sostanzialmente assistito ad un vuoto a livello nazionale».

Emilia-Romagna isola felice, dunque? Merito dei distretti industriali?

I distretti rappresentano una specificità molto importante dell’Emilia-Romagna, sono l’espressione imprenditoriale di una società coesa, solidale e partecipativa. Elementi caratterizzanti la cultura della Rsi. Oggi l’approccio alla Rsi a livello distrettuale può rappresentare una valida soluzione per far fronte ad alcuni limiti e criticità, quali la carenza di risorse per i servizi e l’inefficacia dei processi decisionali. In questo senso, i distretti possono favorire una migliore risposta di sistema alle difficoltà, in parte collegate alla crisi economia e finanziaria, che vivono le aziende, e un approccio più efficace di fronte alle emergenze e ai bisogni di imprese e comunità, oltre a una leva per favorire innovazione e qualità. Per le Pmi possono quindi costituire il mezzo attraverso cui creare condizioni per adottare processi e modelli imprenditoriali più responsabili.

Come si è tradotto questo nell’attitudine alla Rsi delle imprese emiliano-romagnole? Sono recettive su questi temi?

Sicuramente due elementi hanno determinato l’attenzione delle realtà economiche emiliano-romagnole alla sostenibilità. Da un lato, il tessuto produttivo si caratterizza per una forte presenza storica delle imprese cooperative. Questi soggetti hanno sempre dimostrato una particolare sensibilità ai temi della Rsi, perché la responsabilità dell’impresa rientra nei valori fondanti del movimento cooperativo e nella natura stessa del suo modello imprenditoriale. Questa attenzione si è dimostrata anche un valido antidoto alla crisi, cui le imprese cooperative emiliano-romagnole hanno reagito meglio di tante altre. Dall’altro lato, nella fase di privatizzazione delle società multi servizi all’inizio degli anni 2000 si è diffuso l’impiego di accountability proprio come strumento di verifica della coerenza tra l’esigenza di efficienza dell’intervento e il suo valore sociale intrinseco, promuovendo così la conoscenza della Rsi sul territorio.

Misurare gli effetti dell’impresa sul territorio. Per questo Impronta Etica si è impegnata nel ricercare indicatori di benessere oltre-il-Pil?

La ricerca con Scs Consulting aveva l’obiettivo di definire un modello per la valutazione degli impatti positivi dell’attività dell’impresa sul territorio in cui essa opera, al fine di poter misurare come le aziende, in particolare se gestite secondo logiche di sostenibilità, possono incrementare le diverse dimensioni del capitale territoriale nel breve e nel lungo termine. Il dibattito sullo sviluppo di indicatori “oltre il Pil” è ancora aperto: se da un lato vi è una consapevolezza ormai diffusa rispetto ai limiti del Pil come unico indicatore per misurare il benessere e la qualità della vita, dall’altro la ricerca su metriche di misurazione alternative è ancora “in progress”. Per raggiungere lo scopo è importante creare sinergie fra i soggetti che stanno lavorando su questo tema. Contributi fondamentali sono rappresentati dal Better Life Index dell’Ocse e dal lavoro di Istat e Cnel sul benessere equo e sostenibile. Nell’immaginario del cittadino ciò porterebbe elementi di comprensione del mondo e della realtà in cui viviamo. Inoltre, garantirebbe spunti di analisi importanti per le istituzioni, perché possano essere in grado di rispondere in modo più mirato alle attese e ai desideri delle persone e a generare, quindi, maggiore fiducia da parte dei cittadini.

Nel manifesto “Impronta Etica 2020” si afferma che la dimensione locale non deve essere l’unica dove si studiano strategie e progetti. Quanto ha inciso negativamente la mancanza di una strategia coerente a livello nazionale in questi ultimi anni?

Dal progetto Csr-Sc promosso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nel 2002, abbiamo sostanzialmente assistito a un vuoto a livello nazionale sui temi della Rsi. Questo vuoto è stato colmato, in parte, dagli enti pubblici locali che, con diversi gradi d’impegno e coinvolgimento, si sono attivati per promuovere questi temi. L’importanza di un commitment e di una strategia coerente a livello nazionale è un elemento imprescindibile per definire un framework di azione comune, una visione di medio-lungo termine condivisa all’interno della quale promuovere e incentivare la responsabilità sociale d’impresa. Basti pensare alle clausole sociali e ambientali negli appalti pubblici come elementi premianti per le aziende “virtuose”: è un tema di cui si parla da anni, ma su cui si è avanzato molto poco e per il quale un’azione a livello nazionale sarebbe fortemente auspicabile. Per questo, abbiamo accolto positivamente il Piano nazionale sulla Rsi 2012-2014 pubblicato dal Governo Italiano a marzo 2013, per il quale abbiamo fornito il nostro contributo nella fase di consultazione: è un primo passo importante che fissa le priorità e i punti chiave per il futuro.

Qual è lo stato delle relazioni con altre realtà simili a Impronta Etica?

Il nostro approccio è quello di fare rete con altri soggetti che lavorano sui nostri temi. Con Fondazione Sodalitas, per esempio, siamo parte della rete europea Csr Europe come organizzazioni partner italiane; dalla nostra nascita a oggi abbiamo avuto diverse occasioni per collaborare. In passato più su progetti concreti come Orsadata (un database con oltre 700 buone pratiche aziendali, realizzato da Fondazione Sodalitas in collaborazione con Impronta Etica e Istituto per i Valori d’Impresa, ndr), oggi maggiormente in percorsi istituzionali. Ad esempio, nell’ambito dei contatti con i rappresentanti del Governo per il Piano nazionale sulla Csr richiesto dalla comunicazione della Commissione europea pubblicata a ottobre 2011. In generale, con questi soggetti e con altri, quali il Forum per la Finanza Sostenibile, Aiccon o la rete NeXt, cerchiamo di favorire lo scambio e la circolazione di informazioni sui temi della Rsi e di collaborare nella promozione delle rispettive iniziative.

Paolo Ballanti

 

A cura di ETicaNews