24 aprile 2013 – Perché fare azionariato attivo o, per dirla all’inglese, engagement? La domanda potrebbe sembrare spontanea ad alcuni, banale ad altri. Sicuramente non è scontata la risposta che dà a questa domanda Andrea Baranes, presidente di Fondazione Culturale Responsabilità Etica (Fcre) del sistema Banca Etica, che da anni segue in prima persona le iniziative di azionariato attivo della Fondazione riguardo ad alcuni big del listino di Piazza Affari: «Perché l’azionista non ha solo dei diritti – risponde – ma anche dei doveri».

Fcre promuove l’azionariato attivo da diversi anni. Qual è il vostro modello?

Fcre è nata per parlare di finanza etica. Il motivo essenziale delle nostre iniziative di azionariato attivo è far capire che l’azionista non deve solo aspettarsi il dividendo, poiché diventa proprietario dell’azienda, anche se magari per una piccolissima quota. Lo facciamo anche per riuscire a parlare con altri azionisti, come i fondi pensione, e diffondere, allargare l’idea di azionariato critico. Vogliamo poi essere di supporto alle campagne di pressione che vengono promosse dalle reti di Ong con cui collaboriamo: di fatto abbiamo acquistato azioni di Enel su proposta di Greenpeace Italia, quelle di Eni su proposta di Re:Common. Soprattutto collaboriamo con varie organizzazioni del Sud del mondo, spesso piccole Ong che non riescono ad avere voce, mentre intervenendo in assemblea possono parlare al management della società, alla presenza della stampa. Così l’azionariato attivo diventa un megafono per far ascoltare la voce delle popolazioni del Sud del mondo.

Quanto è complesso costruire relazioni e mettere in piedi coalizioni legate a iniziative di azionariato critico?

Uno dei nostri obiettivi era cercare di coinvolgere nelle iniziative fondi pensione e fondi socialmente responsabili. Come fa Iccr negli Stati Uniti, che riunisce centinaia di investitori religiosi che hanno una potenza finanziaria non indifferente e quindi “pesano” quando vanno in assemblea. Noi abbiamo comprato solo qualche decina di azioni, giusto per poter intervenire in assemblea, ma con l’idea di lavorare insieme ad altri. Abbiamo però incontrato grosse difficoltà, non so se perché c’è meno cultura finanziaria in Italia o perché i mercati finanziari sono meno sviluppati. Per i prossimi anni, uno degli obiettivi che ci siamo posti è proprio quello di costruire reti di azionisti attivi o critici. Anche perché l’azionariato attivo richiede risorse, va seguito tutto l’anno, è un lavoro molto impegnativo. Dunque va fatto in modo strutturato.

Ma tra azionisti attivi e “normali”, per così dire, c’è ancora tanta distanza?

Le diversità ci sono, anche perché le grandi società quotate hanno centinaia di migliaia di investitori. Quello che noi cerchiamo di far capire, però, è che quando ci sono questioni legate a un impatto ambientale e sociale di determinate attività, ad esempio sul tema dei diritti umani, c’è un collegato rischio economico-finanziario che può ricadere sugli azionisti. Per fare un esempio, in caso di grave disastro ambientale provocato da una società, possono esserci miliardi di dollari di multe, di cause legali, di investimenti per operazioni di riparazione. Lo stesso per episodi di corruzione. Dunque non è che l’azionista, che guarda al dividendo, e le Ong, che guardano al versante sociale e ambientale, lavorano su due piani diversi: ci può essere sinergia, nell’interesse di tutti.

Fcre sarà azionista attiva alle prossime assemblee societarie di Eni ed Enel. Quali questioni sottoporrete?

Per Eni, uno dei temi centrali saranno le questioni riguardanti gli episodi di corruzione, nonostante la società dica di avere le linee guida anti-corruzione più avanzate al mondo. E sicuramente l’aggiornamento sui suoi investimenti in alcuni Paesi del Sud del mondo, come Nigeria o Congo: da anni solleviamo la questione delle pratiche di gas flaring in Nigeria, da tempo illegali, su cui la società seguita però a dire che ha rilevato impianti da altre compagnie petrolifere che già lo facevano e dunque ha bisogno di tempo per arrivare all’obiettivo zero gas flaring che si è posta. Di fatto il gas flaring continua. Chiederemo se c’è una data definitiva per questo obiettivo e quali sono i dati sulla situazione attuale.

E per Enel?

A Enel chiederemo informazioni sul piano industriale, sul mix energetico, se ci sono ancora investimenti nel nucleare a dispetto del referendum del 2011. C’è poi la situazione del progetto delle dighe in Patagonia, fortemente avversato da buona parte della popolazione indigena, che la società tramite Endesa sta continuando a portare avanti.

In questi anni di presenza nelle assemblee di queste grandi società, si è aperto anche un dialogo, c’è stato ascolto delle vostre istanze, o siete stati percepiti solo come fattore di disturbo?

Il dialogo c’è stato, anzi, riconosco che c’è stata una buona apertura, ci siamo incontrati ogni volta che abbiamo chiesto loro di farlo. In particolare con Eni. Ma una cosa è riceverci, ascoltarci e darci informazioni, un’altra è incidere davvero sui comportamenti delle imprese.

Cosa serve, allora, per incidere?

L’azionariato attivo sicuramente rafforza altre iniziative, come le campagne di sensibilizzazione. Ma da solo non può bastare. Ha un valore aggiunto quando si combina ad altre iniziative di pressione. Per arrivare a risultati concreti, serve porsi in un’ottica di lungo periodo. E serve un maggior lavoro coordinato con altri investitori, che magari abbiano un certo peso.

A questo punto a qualcuno potrebbe sorgere un dubbio: ritenendo un’azienda poco responsabile, è più efficace la “sanzione” del non investimento, o del disinvestimento dopo l’acquisto, o invece l’investimento “attivo” per sollecitarla su questioni socio-ambientali?

Sono strade diverse, con differenti obiettivi e modalità di approcciarsi alle imprese, ma complementari. Praticamente è quello che cerchiamo di fare come rete di Banca Etica: Etica sgr seleziona le imprese migliori dal punto di vista socialmente responsabile, vi investe con un’ottica di lungo periodo e interviene in assemblea da azionista attiva per chiedere ulteriori miglioramenti. Come Fcre, invece, forse non si può neppure parlare di investimento, poiché le somme investite sono molto contenute: in questo caso è più una testimonianza, che viene fatta in collaborazione con altre organizzazioni e campagne, da azionisti critici.

Andrea Di Turi @andytuit

 

A cura di ETicaNews