13 marzo 2013 – Ma il promotore finanziario, ovvero colui che è in prima linea con la grande massa di investitori, cosa sa della finanza sostenibile? E soprattutto, dove può studiare per colmare questa sua lacuna? E’ anche partendo da queste osservazioni che il professore Giorgio Fiorentini, docente di Economia e gestione delle imprese sociali all’Università Bocconi, ha deciso, d’intesa con Davide Dal Maso, segretario generale del Forum per la Finanza Sostenibile, di scrivere il libro che mancava, dal titolo “Creare valore a lungo termine”. Il libro cioè che può colmare il gap di formazione sulla finanza etica, a cominciare appunto da quello dei professionisti dell’investimento. Fiorentini è un innovatore, uno che nel sacro tempio del capitalismo, l’università Bocconi, sta portando una rivoluzione, neanche troppo silenziosa: spiegare che vale la pena unire agli obiettivi classici di redditività economica il perseguimento di principi di finanza sostenibile.

I promotori finanziari diventeranno quindi gli alfieri della diffusione dell’investimento etico?

Sì, è così. Di certo non saranno i soli attori nello sviluppo della cultura della finanza sostenibile ma avranno un ruolo fondamentale. In fondo non deve preoccuparci se useranno questo tipo di investimento come un possibile mero argomento di vendita. Il punto focale è un altro: loro possono diffondere efficacemente presso gli investitori questa tipologia di strumenti. Ma per farlo devono essere preparati sull’argomento

Ed è per questo che ha scritto il libro…

Vede, io e Davide Dal Maso ci siamo resi conti che negli strumenti a disposizione degli aspiranti promotore per prepararsi a sostenere l’esame abilitativo alla professione mancava un testo che parlasse della finanza sostenibile. Una grave mancanza, considerati i recenti tassi di crescita di questo settore e l’enorme potenziale di diffusione. Che ora è stata colmata.

Questo per quanto riguarda il lato dell’offerta, ma a che punto siamo con la domanda di investimenti etici?

Esistono già dei segmenti, dei target di investitori pronti ad accogliere favorevolmente la proposta di finanza sostenibile. Alcuni lo vivono un po’ massaggiandosi l’anima, a livello olistico. Li fa sentire meglio l’avere qualche investimento etico in portafoglio. Dietro questi segmenti si staglia un enorme domanda potenziale. E il primo passo per avvicinarla lo deve fare il promotore, dimostrando che padroneggia con sicurezza e professionalità l’argomento. Ma a questo proposito vorrei chiarire una cosa.

Prego..

Il termine finanza etica non andrebbe usato. Mi ricordo che più di vent’anni fa partecipai a un convegno con Claudio Dematté il quale per prima cosa volle subito chiarire che è un termine sbagliato. Il suo insegnamento fu che la finanza è tutta semplicemente finanza, che poi a sua volta viene declinata nelle sue forme. Non esiste una finanza etica opposta alla finanza in sé.

Molto interessante. Meglio parlare quindi in generale di finanza sostenibile di cui abbiamo visto che domanda e offerta sono sempre più vicine e si alimenteranno a vicenda. Ma qual è l’oggetto?

Innanzi tutto le società e le imprese, e la loro responsabilità sociale. I fondi raccolti si indirizzeranno sull’economia reale. E non ci saranno alibi. E’ passato il tempo in cui le aziende pubblicizzavano la propria ritualità dei bilanci etici. Ora chi investe in sostenibilità vuole capire a fondo come le società potenziali oggetto di investimento interagiscono con il territorio e con la comunità dove esplicano la loro attività. Questa attenzione è diventata ormai un differenziale competitivo critico rispetto alle aziende non attente alla Corporate social responsability.

Insomma, la Csr rappresenta già una condizione necessaria per il successo di un’impresa…

Anche di più. L’efficienza e l’efficacia dell’azione di Csr di una società è valutata dal mercato sia a livello interno sia come interazione con l’ambiente esterno all’impresa. E’ vista come un vero e proprio welfare aziendale e a livello strategico è un vero e proprio fattore critico di successo. E non solo in ottica di medio e lungo periodo, come vuole la logica Sri. Un’impresa deve essere sociale anche nel breve termine. Se no sarà una sostenibilità spuntata.

Per questo la Sri sta diffondendosi persino nei corsi di un’università come la Bocconi?

Sì, ma non solo. Già circa il 10% degli studenti è interessato a queste tematiche. Può non sembrare molto ma è un gruppo che risulta decisamene coinvolto. Si studia la ricerca dell’equilibrio tra il sociale e l’aspetto economico della gestione aziendale. Certo, il contesto lavorativo è meno attento ma questi ragazzi possono fare da Cavallo di Troia per portare temi come Sri, Csr e Esg nel mondo imprenditoriale. Il manager del futuro punterà sì a massimizzare il profitto ma in termini relativi rispetto alle variabili sociali e non più in termini assoluti. E non mancano le iniziative a livello universitario che vanno in questa direzione

Ci può fare un esempio?

Prenda lo Sportello del volontariato, aperto da poco più di due mesi. Sotto lo slogan “Dai un senso al tuo profitto” circa 130 studenti hanno chiesto informazioni e alcuni sono stati coinvolti nel dare consulenza a imprese sociali. Senza dimenticare i corsi universitari veri e propri, che in parte io stesso curo, dedicati all’impresa sociale e alla Corporate social responsability mentre i concetti della sostenibilità aziendale si diffondono in diversi altri corsi. La lezione è semplice: la filantropia in sostanza deve fare emergere una sua validità tramite l’uso di criteri reddittività. Arrivando persino a parlare di profitti del non profit.

Fabrizio Guidoni

 

A cura di ETicaNews