21 gennaio 2015 – Quante volte l’amministratore indipendente è invitato a partecipare ai road show in modo da ascoltare direttamente le istanze degli analisti? Perché nei bilanci sociali non si trovano riferimenti al ruolo degli amministratori indipendenti nella governance della Csr? Eppure sono loro i naturali alfieri della Csr in consiglio di amministrazione. Lo spiega in un’intervista a ETicaNews Paola Schwizer, presidente di Nedcommunity, l’associazione italiana degli amministratori non esecutivi e indipendenti. «Se si valutano concretamente gli effetti delle scelte aziendali e si definisce un ordine di priorità di soddisfazione degli stakeholder, che può anche cambiare di volta in volta – spiega Schwizer – il tema diventa parte integrante del processo decisionale del Cda. E tale compito dovrebbe essere affidato in modo particolare agli amministratori indipendenti». Una sfida appena cominciata, da portare avanti a colpi di buone pratiche da diffondere, per fare breccia nelle stanze dei bottoni delle imprese dove esiste ancora una notevole discrepanza tra chi dichiara la volontà di integrare la Csr nella strategia aziendale e chi ha effettivamente tradotto questa volontà in un impegno dettagliato, come emerge da una recente ricerca supportata dalla stessa Nedcommunity, insieme ad Assonime, ed elaborata dagli esperti di Altis e di Csr manager network a cui ETicaNews dedicherà nelle prossime settimane un ciclo di articoli ogni mercoledì.

Quanto la Csr è un tema che entra nella stanza dei bottoni delle società?

Quando si intervistano gli amministratori, la freddezza sul tema dimostra che è ancora una tematica di governance di cui ci si occupa poco in consiglio. Le imprese sono state molto brave a definire strategie di Csr e a comunicarle. Se confrontiamo la reportistica del bilancio di esercizio con il bilancio sociale, negli anni il bilancio sociale è diventato sempre più bello, chiaro, articolato. Dal punto di vista della comunicazione è stato fatto certamente uno sforzo maggiore di quello fatto sul bilancio di esercizio. Quando però si vanno a vedere i contenuti si scopre, ad esempio, che le iniziative di ascolto degli stakeholder sono molto rare.

Cosa significa?

L’obiettivo generale delle imprese è quello di puntare alla redditività degli azionisti, il che è positivo, ma comporta spesso un attegiamento più formale che sostanziale verso la Csr. Si tratta di un tema su cui c’è molto spazio di interpretazione, perché la Csr si incrocia con lo stakeholder management e la business ethics. La Csr è spesso considerata una strategia volta a presidiare le relazioni con l’ambiente e la collettività e dà luogo a una serie di politiche che hanno poco di sociale e puntano soprattutto alla visibilità esterna. Lo stakeholder management è il presupposto della Csr, porta a un modello di business diverso che punta alla creazione di valore per gli stakeholder rilevanti. Questo presuppone un altro tipo di strumentazione, come la mappatura degli stakeholder. La business ethics, infine, sta alla base di tutto questo e riguarda, tra l’altro, il principio di fondo del rispetto delle controparti, che deve essere incardinato nella cultura aziendale.

Nella pratica cosa significa inserire strutturalmente la Csr in azienda?

Significa fare in modo che le tematiche di Csr siano rappresentate nei processi decisionali del Cda. La cultura degli stakeholder dovrebbe far sì che qualunque decisione rilevante sia subordinata alla valutazione del relativo impatto sulle diverse categorie di stakeholder. Se si valutano concretamente gli effetti delle scelte aziendali e si definisce un ordine di priorità di soddisfazione degli stakeholder, che può anche cambiare di volta in volta, il tema diventa parte integrante del processo decisionale del Cda. E tale compito dovrebbe essere affidato in modo particolare agli amministratori indipendenti.

Perché gli amministratori indipendenti dovrebbero farsi carico di questo ruolo?

L’amministratore indipendente è colui che presidia l’interesse generale dell’impresa. Bankitalia, in materia di governo societario, sottolinea che l’amministratore indipendente deve presidiare la sana e prudente gestione della banca, dandogli quindi una investitura esplicita rispetto all’obiettivo di soddisfare alcune tipologie di stakeholder. Eppure nei bilanci sociali non si trovano riferimenti al ruolo degli amministratori indipendenti nella governance della Csr. La comunicazione verso gli stakeholder è quasi sempre top down, mentre invece dovrebbe partire dall’ascolto e dall’interazione con gli stakeholder stessi. Ciò vale anche nei confronti degli stakeholder – investitori istituzionali, che oggi potrebbero far fare un salto di qualità alla governance delle imprese italiane. Ma quante volte l’amministratore indipendente è invitato a partecipare ai road show in modo da ascoltare direttamente le istanze degli analisti?

Cosa sta facendo Nedcommunity su questo fronte?

Nei nostri gruppi di lavoro abbiamo l’obiettivo di raccogliere le buone pratiche: stiamo cercando amministratori che possano testimoniare su come sono intervenuti nei processi decisionali in un’ottica di stakeholder management. Stiamo utilizzando anche il canale dell’associazione europea degli amministratori. Un secondo fronte su cui abbiamo iniziato a lavorare è quello delle politiche di remunerazione. E’ qui che dovrebbe vedersi l’applicazione concreta delle strategie di Csr.

Perché secondo lei il tema è ancora ai margini dei Cda?

Il problema è quanto ci si crede davvero. Io penso che l’importanza del tema possa essere percepita solo se se ne coglie la portata in chiave di successo competitivo dell’impresa. Bisognerebbe diffondere una casistica di successo in questo senso. E, ovviamente, occorre che gli amministratori siano davvero in grado di operare con autonomia di giudizio. Chi vuole mantenere la poltrona può essere portato a favorire l’opinione comune. E’ necessario avere una reputazione individuale forte da difendere, ma anche essere capaci di incidere sul processo decisionale, esprimendo una propria leadership. Ciò significa, a volte, saper sostenere la propria posizione anche se scomoda.

Elena Bonanni

A cura di ETicaNews